LA RICOMPENSA DI UN’AZIONE GIUSTA

Nel 2002 ho rinunciato a partecipare a un concorso da professore ordinario, che con ogni probabilità avrei vinto, per lasciare il posto a un collega molto più anziano di me, che, professore associato di fisica, per i suoi studi sui fondamenti di tale disciplina meritava certo l’ordinariato in filosofia della scienza. Egli era stato per me anche un maestro e un amico. Appena vinta la cattedra organizzai una giornata di studi in suo onore durante la quale dichiarò che considerava il suo passaggio alla filosofia una degenerazione. Sì ha usato proprio questa parola. Appena ha potuto è tornato a fisica, senza preoccuparsi minimamente del fatto che l’istituzione di una cattedra filosofica in una facoltà di scienze era stata un importante risultato dal punto di vista culturale. Vabbé, pace. Ho comunque ottenuto l’idoneità due anni dopo. Proprio in quel momento, però, la mia università è caduta in una grave crisi finanziaria, per cui non ho potuto prendere servizio e ora la mia idoneità, che dura solo 5 anni, sta per scadere. Oltre al danno anche la beffa. Di primo acchito dovrei dedurre da tutto questo che sono stato un pirla a lasciare il passo al collega. Credo però che in quella situazione feci bene. Non potevo prevedere i due disastri che sarebbero successi. Certo questa storia è la riprova che i comportamenti giusti spesso non pagano, anzi sono non di rado dei veri e propri autogoal. L’uomo ha sempre riflettuto sul problema della ricompensa dell’azione giusta. Tertulliano e Tommaso raccontano come noi godremo nel vedere, dal Paradiso, i malvagi che soffrono all’Inferno. Alcuni, come Spinoza, sembrano dire che la ricompensa dell’azione giusta è nella soddisfazione stessa di averla compiuta. Il Vangelo stesso è ambiguo, perché afferma che chi commette il male ha già avuto la sua ricompensa e invece chi fa il bene è atteso nel Regno dei cieli, come a dire che dobbiamo fare il bene perchè in fondo ci conviene. L’unica vera, grande risposta la trovo, invece, in Giobbe. In fondo che cosa ne possiamo sapere della giustizia delle nostre azioni e del danno che abbiamo la sensazione di ricevere come ricompensa. Impegnarsi secondo quello che ci pare giusto è senz’altro una soddisfazione, ma che cosa succederà dopo, quale sarà il computo alla fine dei tempi, non lo possiamo sapere. E’ per questo che comunque conviene agire con giustizia per quel che ci sembra e per quello che riusciamo.

87 commenti

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87 risposte a “LA RICOMPENSA DI UN’AZIONE GIUSTA

  1. ALFREDO

    Interessante, molto interessante…
    Provo ad immaginare la scena nel caso in cui tu avessi scelto, invece, di partecipare al concorso.

    Dunque, la mattina di buon ora esci di casa, scambi due chiacchiere con il barista, ti fermi a far benzina e ti esce una battuta divertente che fa ridere a crepapelle il benzinaio; imprechi contro il traffico, hai un tamponamento imprevisto con un tizio che ti fa perdere la necessaria tranquillità e ti rovina la giornata. Arrivi comunque a destinazione, superi il concorso ed ottieni il posto.
    Nel frattempo, però, il barista entra in una crisi profonda per ciò che gli hai detto e divorzia con la moglie; il benzinaio-ridens esce da quella sua profonda crisi e decide di non suicidarsi più, colui che ti ha tamponato, ovvero, il figlio birbaccione e senza patente che aveva preso di nascosto l’auto a suo padre, ora passerà i suoi guai.
    Ma soprattutto, tu non avresti potuto scrivere questo post al quale io non avrei potuto rispondere e così, magari, avrei deciso di uscire di casa, avrei scambiato due chiacchiere con il barista e con il benzinaio e mi sarei incrociato con quel figlio degenere che, nonostante tutto, gira ancora come un pirata senza patente…
    Come vedi, Vincenzo, qui non si tratta di stabilire a priori ciò che conviene fare o no.

    Ognuno reagisce secondo la propria natura e senza una piena cognizione di causa, a quel flusso di pensieri ininterrotto che ti obbliga istante per istante ad una raggera di possibili scelte.
    Non si è liberi di scegliere, si è obbligati a scegliere.
    E come fai fai, procuri, senza saperlo e senza volerlo, sia bene che male, anche se apparentemente non in egual misura. Poi ti accorgi che “bene” e “male” sono soltanto parole: vuote.

    Così non ci resta che starci a guardare incantati, a nascere, a morire, a piangere e a ridere, identificandoci di volta in volta con i protagonisti che via via entrano in scena, come si fa davanti ad una infinita telenovela: la nostra.
    Buona giornata, Vincenzo…e occhio a quel pirata! 😉

  2. Forse hai fatto un gesto nobile verso un amico ed un maestro, ma secondo me ti sei anche sminuito. Essendo un concorso avrebbe dovuto vincere il migliore, il più preparato e motivato, in questo caso tu. Verso l’università tu quindi hai compiuto un’azione cattiva.

  3. sara

    Prima di tutto mi piacerebbe sapere quali motivi ti fanno dire che in quella situazione facesti bene. Poi, così velocemente mi sembra che l’interpretazione del vangelo sia un po’ tanto superficiale. Certamente è un bel casino entrare in questo groviglio. Mi hai riportato alla mente due cose, due fatti della mia vita. Il primo risale a quando decisi di rifiutare il ruolo come insegnante di scuola elementare solo perchè frequentavo la facoltà teologica e non avrei potuto insegnare 24 ore e frequentare il 75% delle lezioni. Credo di essere stata proprio sciocca. Va bene la passione per lo studio, ma fu e rimane una scelta sbagliata. Con tutte le conseguenze che ci furono. Certo questo non significa che se uno sbaglia è condannato. “Ogni cosa concorre al bene”…dice Paolo (San). Però credo di dover chiamare col nome giusto questa scelta sbagliata. Se poi comincio a pensare che al posto mio ha lavorato magari una mamma con figli, io ero solo poco più che ventenne, mi posso consolare, ma rimane vero che ho sbagliato. Il secondo fatto è un po’ diverso: interrogazione di musica, anzi di flauto dolce, io ero stata chiamata come rappresentante di classe fuori dall’aula, tento di dirlo al prof., non vedente, che non mi ascolta, allora decido di uscire lo stesso e affido il mio turno ad una compagna che era sicuramente più scarsa di me, quantomeno io suonavo il clarinetto e sapevo leggere la musica, il prof si accorge, si arrabbia di brutto e mi dà 2, non so perché ma io in quella situazione non ho sentito di aver fatto niente di male, nonostante tutto, anche se c’ho rimesso. Non so, forse la seconda centra poco, ma si tratta sempre di scelte che reputiamo giuste e che proprio per questo facciamo, il problema rimane comunque quello di capire un po’ meglio cosa sia giusto, pur rimanendo consapevoli che continuiamo a brancolare come dice Kant. Non sono d’accordo con Alfredo che sembra quasi dire che ogni scelta vale l’altra perché non siamo liberi.

  4. e

    Amico Enzo, no: compari le mere con le pere. La giustizia e l’utilità, molto semplicemente, sono categorie che non hanno relazione alcuna. Parlare di beneficio del giusto è, a mio vedere, una cappellata metafisica.

    La questione non è benefica, è cruciale. La giustizia è la misura con cui l’uomo rimane se stesso, a costo del proprio sacrificio (come hai fatto tu nel 2002).

    A scopo illustrativo, mi cito da solo, non per narcisismo, ma per pigrizia:

    Esercizi per mantenere il cuore in salute
    Settembre 26, 2008

    Si sente spesso lo slogan che dice che chi non è ribelle a 20 anni e senza cuore, chi è ribelle a 30 anni è senza testa.
    Oggi una mia amica è tornata a casa con la coda fra le gambe, depressa e arrabbiata per una brutta umiliazione personale subita al lavoro. Ad introvertirla ulteriormente c’è stato il fatto che sul momento non ha trovato le parole per reagire e la cosa è stata fatta cadere, rinviandola nel futuro con un fumoso piano di rivincita.

    Digredendo amabilmente in chiacchiere siamo arrivati sino sino ad un aneddoto risalente alle scuole superiori. In un occasione, all’indomani dell’esame di maturità, questa stessa mia amica si alzò in difesa di un suo compagno di classe, insultato dalla professoressa di filosofia in quanto uno “stupido la cui una virtù era la memoria”. Il prezzo di questa ribellione fu nelle stesse parole di quella professoressa il giocarsi il 60 all’esame di maturità (ridendoci sopra, oggi abbiamo valutato all’unanimità che non fu un prezzo poi così alto per la soddisfazione che diede!).

    Questa situazione corrisponde perfettamente allo slogan che ho citato all’inizio. La verità però è che quello slogan è mal formulato, bisognerebbe infatti dire che “chi non è ribelle a 20 anni è senza cuore, chi si ribella a 30 anni con gli stessi modi di quando ne aveva 20 è senza testa“. Le ingiustizie, infatti, non sono meno acute perché siamo più vecchi, l’età non muta la natura delle cose e piuttosto quello slogan così mal posto sembra solo una sorta di incitazione al cinismo.

    Io dedico queste righe alla mia amica, augurandole che non lasci passare il sopruso che ha subito, usando da un lato l’esperienza che ha formato con gli anni e dall’altro il cuore, che quello è – e sarà sempre – lo stesso di quando ne aveva 20.

  5. ALFREDO

    E’ strano che tu non sia d’accordo con me sara, perché io invece sono perfettamente daccordo con te quando dici che non sei daccordo con me…

  6. e

    ah per quanto riguarda il vangelo, a me non sembra ambiguo, gesu’ e’ finito crocefisso per non tradire se stesso. Poi i preti ci hanno visto una bella delega (sarebbe lui morto per i nostri peccati? una comoda cazzata!) Non per loro cristo si e’ fatto torturare, ma per la sua filosofia.

  7. e

    ah per quanto riguarda il vangelo, a me non sembra ambiguo, gesu’ e’ finito crocefisso per non tradire se stesso. Poi i preti ci hanno visto una bella delega (sarebbe lui morto per i nostri peccati? una comoda cazzata!) Non per loro cristo si e’ fatto torturare, ma per la sua filosofia.

  8. ALFREDO

    Ti piacerebbe imitarlo uno così, eugenio, eh?

  9. e

    x alfredo : ne ho sacro terrore. Cristo disse al padre che se quella era la sua volonta’ allora ok. Io la vedo diversamente: se sei in ballo devi ballare. A volte si cade, altre si muore.

  10. ALFREDO

    E sentiamo, secondo quanto relazionato da Vincenzo, quale sarebbe stata la ricompensa riservata a Cristo, per aver fatto ciò che riteneva giusto?

  11. Caro Alfredo, divertente quello che dici, mi hai fatto sorridere, però non bisogna confondere le situazioni a rischio con quelle di incertezza. In queste ultime tu non puoi valutare ragionevolmente le probabilità che si riferiscono alla realizzazione delle diverse possibilità, mentre nelle prime, pur essendoci un rischio, esso può essere calcolato. E’ chiaro che un discorso morale si può riferire solo alle situazioni di rischio. Gli esempi che tu fai, invece, si riferiscono all’incertezza, là dove tutto può succedere e non si può valutare nulla. Nelle situazioni importanti, di solito, non sempre, si possono fare delle valutazioni, a differenza che nelle piccole scelte, dove tutto è molto più contingente.
    Solo quel passo del Vangelo è ambiguo e non è un caso che la massa delle persone interpreta il Paradiso proprio come una ricompensa rispetto a una vita giusta ma di sofferenza.
    Giustizia e utilità sono due cose diverse, ma non può non esserci un qualche nesso, altrimenti come faresti a parlare di equa distribuzione delle ricchezze?
    La mia consolazione resta Giobbe.

  12. eikan

    L’azione giusta basta a se stessa in quanto ferma il tempo e se ne frega delle conseguenze.
    L’azione giusta non è tanto giusta quanto bella, perchè contiene in se quel micronesimo di stato di grazia che ti fa sentire meglio.Da un certo punto di vista è l’opposto dell’altruismo e niente ricompensa, è la pura dignità.

  13. ALFREDO

    Non avrei saputo descrivere meglio il significato di “vendetta”, eikan… 😉

  14. ALFREDO

    x viverestphilosophari — Ottobre 20, 2008 @ 9:03 pm

    Tu dici che giustizia ed utilità sono due cose diverse.
    A me personalmente, sembra che sia “giusto” tutto ciò che concorda con il mio modo di vedere le cose e credo sia così anche per gli altri.
    Ma siccome percepisco le “cose” in genere, come inutili illusioni, ne ho deddotto che la giustizia sia del tutto inutile, così ho smesso di cercarla.
    E quando tu non cerchi una cosa, vuol dire che ce l’hai già, giusto?…

  15. Ha ragione Eikan a mio modo di vedere, la giustizia non e’ ricompensata. O meglio, quando lo e’ lo e’ sull’immediato, che del futuro non v’e’ certezza.

    Provo a riproporre il mio punto di vista al contrario. Se ogni slancio del cuore venisse ponderato dal calcolo, la specie umana non esisterebbe. Banalmente: secondo la logica costi/rischi/benefici fare un figlio e’ un suicidio logico.

    Non mi sembra che il mio punto di vista mandi le persone al martirio.

    grazie

  16. Nonostante il tentativo di Vincenzo di riportare la discussione su un piano coerente, leggo solo parole disposte a vanvera.
    Perdinci! Meditate gente, prima di scrivere. Uno che dice di essere Dio e obbedisce al padre, non è proprio l’esempio da proporre ad un comune mortale.
    Anch’io, che sono Napoleone, mi sono sempre attenuto alle disposizioni del padre. Tuttavia, avrei potuto anche disobbedirgli solo per il fatto che mi sento libero di farlo. La legge esiste perchè se arrechi un danno al vicino devi assumerti l’obbligo di risarcirlo. Quindi, prima di cercare la giustizia, occorre che ci sia una legge ed un’etica da condividere.
    “E’ “giusto” tutto ciò che concorda con il proprio modo di vedere le cose” diventa così un assioma valido per l’universalità umana.
    Qualche volta ch’azzecchi, Alfredo!

  17. e

    X pibond, non e’ che rifiutando il padre, diventassi tu stesso paternalista? La pongo come domanda, anche se e’ retorica.

  18. ALFREDO

    (Aperta parentesi: da quanto si legge nei vangeli, è facile dedurre che Cristo sia morto in croce perché si è presentato ad un processo con Ponzio Pilato senza neanche lo straccio di avvocato difensore; del resto, uno che avrebbe fatto miracoli a destra e manca senza chiedere per ricompensa neppure un denaro, al giorno d’oggi sarebbe considerato semplicemente uno sprovveduto… chiusa parentesi)

  19. sara

    Io vedo Giobbe nel Nuovo Testamento. Ad esempio in alcune parabole: quella degli operai dell’ultima ora, quella del figlio che se ne va e del fratello che rimane in casa per fare un esempio. Qui del principio di retribuzione non c’è proprio niente, anzi. Basta leggerle per rendersene conto. L’invidia e il risentimento dei primi operai e del fratello maggiore nel constatare quella che per loro è ingiustizia, è bene espressa dalle loro parole. E le parabole sono utilizzate da Gesù per dire qualcosa sul Regno dei Cieli.
    Poi le Beatitudini, si aprono e si chiudono con un verbo al presente indicativo: di essi è il Regno dei cieli, adesso. E anche qui mi sembra che Giobbe stia in buona compagnia, la cosiddetta “ricompensa” consiste nel fatto che Dio, al 38 cap. del libro, a lui si rivolga e non agli amici dotti che lo difendevano, qui nelle Beatitudini l’accento è posto sul fatto di non essere soli a vivere ogni cosa della vita.
    Comunque mi convince molto quello che dice Eugenio, quando parla dell’essere se stessi, autentici, del resto quando quello che incontriamo ci dice qualcosa è perché la sentiamo già nostra, forse non l’avevamo ancora vista. Il vangelo mi fa quest’effetto. Poi se, come dice Alfredo avvicinandomi mi rendessi conto che è tutto un bluff, ne prenderò atto, per ora mi pare proprio che la lettura evangelica sia la lettura che mi convince di più.

  20. e

    Secondo me Sara coglie il centro. La cosa mi affascina ancor piu’ perche’ in questi giorni sto leggendo il vangelo di matteo, e tutto mi porta a pensare che cristo avesse una visione incredibilmente immanente. In un certo senso, proprio al contrario del senso che una prima lettura potrebbe dare.

  21. Pingback: Sulla giustizia « Promesse di un Ebu

  22. e

    Fermi tutti! Ci siamo dimenticati del diritto fondamentale all’irragionevolezza dell’amico e maestro di Enzo!

  23. ALFREDO

    Ma è semplice, Eugenio.
    L’amico e maestro di Vincenzo, si sentiva in debito per il favore ricevuto, e non-sapendo-come, o non-volendo R I C O M P E N S A R E il suo benefattore, ha preferito optare per il disprezzo di ciò che aveva ricevuto.
    Questo capita, di solito, quando uno aiuta l’altro senza che questi gliene faccia esplicita richiesta.
    Giusto?… 😉

  24. ALFREDO

    x sara – Quei furbacchioni che hanno ideato i libri sacri da te citati, hanno posto il miraggio di una ricompensa idealmente valida per tutti gli uomini, ma che è notoriamente irraggiungibile su questo piano di realtà e che si può meritare a condizione che si possano mettere in pratica e far convivere (qui e non non di là) dei comportamenti paradossali.
    Il tutto ambientato in un contesto molto vago, privo di qualsiasi riferimento a date e nomi storicamente verificabili.
    Lo dimostra il fatto che a fronte di una ventina di paginette del vangelo – la cui veridicità vorrebbe essere confermata dal fatto che siano state riconfermate per iscritto per ben 4 volte più o meno uguali (da misteriosi autori di cui non c’è traccia altrove) – si sono scritte montagne di libri che tentano invano di spiegarne il significato, adattandodolo callidamente, di volta in volta, al contesto attuale.
    Più miraggio di così… 🙂

  25. e

    Come si chiama quell’effetto di quando ti convinci di una cosa e tutto sembra portare in quella direzione? Ecco io continuo a trovare prove contro ogni visione che sposta il problema alla fine dei tempi. Mi e’ ribalenato in mente Keynes quando disse: “sul lungo periodo siamo tutti morti”.

    Lo diceva Gesu’, lo ha spiegato Einsten (se non ho capito male), lo ha messo in pratica Keynes. Chi sono io per contrastare queste tre teste d’uovo? Il tempo non esiste, e’ la mia radicale suggestione!

    X Alfredo 23 > praticamente stai dando del coglione ad Enzo, cosa che anche lui pare parzialmente condividere, almeno stando a quanto dice nel post. Il punto invece è un altro che come diceva la panettiera del mio quartiere “al cuor non si comanda”, e che il cuore non può essere giudicato, solo amato.

  26. Mi sono sempre chiesto come “quattro striminzite novelle” abbiano potuto rivoluzionare il mondo. Un certo signore chiamato Gesù, già famoso prima di nascere, ha segnato l’inizio di un’era ora giunta al terzo millennio.
    Un certo signore sedicente Alfredo, della cui nascita mai nessuno ha la prova, sostiene che le novelle sono state scritte da “Quei furbacchioni che hanno ideato i libri sacri citati da” Sara.
    Alfredo, smetti di cercare il vero perchè tu arriverai a vedere solo il falso. Non cercare le cause, ma guarda gli effetti! Nei Vangeli stanno scritte le Parabole che hanno sconvolto gli imperi.
    Il bene caccia il male, il male ostacola il bene, ma il male non fa mai bene a se stesso. Ovviamente, avanti al bene e al male c’è sempre un soggetto, una persona che agisce.
    Questa é l’immanenza.
    Cristo è oltre la storia, ma è entrato nella storia,non come persona, ma come figlio di Dio.
    Quanto dico non è scientifico, ma è ragionevole.
    Alfredo sostiene le sue tesi, in modo non scientifico e non ragionevole.
    ————-
    Stanotte mi è apparso in sogno un uomo che si chiamava Alfredo. Vestiva l’abito da Gesuita, ma non so se fosse sposato o avesse i baffi.
    Pregava perchè i dubbiosi ritrovassero la fede.
    ————-
    Kruscev, chiese di quanti cannoni disponesse il Vaticano. Ebbene, passata la tempesta ecco una testimonianza tramandata dal Monsignor Capovilla, Segretario di Giovanni XXIII:
    “I lavori conciliari erano appena avviati, allorquando balenarono lampi di guerra sul Mar dei
    Caraibi, dove le due massime potenze nucleari si fronteggiavano e si sfidavano; e frattanto
    l’umanità sgomenta tratteneva il fiato. La preghiera e la singolare mediazione, ancorché non
    formalizzata, di Papa Giovanni, contribuirono a placare i due colossi. Lo si è appreso da confidenze
    dei responsabili e dai commenti degli esperti, tra cui Norman Cousins, uno dei consiglieri di John
    Kennedy. Del lungo colloquio che Cousins ebbe al Cremlino, il 13 dicembre 1962, riferiamo
    l’interrogativo e il giudizio di Kruscev: «Che notizie mi porta del Papa? È vero che è malato? […].
    Ha avuto una parte di primo piano nel salvare la pace, nei giorni terribili della crisi di Cuba»4.

    Fai clic per accedere a Capovilla.pdf

    ————–
    L’effetto c’è stato. La causa è ancora un mistero. Non si può dire che una prova è falsa perché non si riesce dimostrala vera!!! E non si può nemmeno dire che ci si riuscirà in futuro! A mio parere questo dovrebbe essere il canone fondamentale del ricercatore.
    Per ciò che non sai, ascolta, ragiona e taci!!

  27. Non ho letto tutti i vostri commenti fiume. Mi soffermerei soltanto sull’inizio dell’ultimo commento di Pibond.
    Io dubito che Cristo, o qualunque fosse il suo nome, fosse qualcosa di più che un semplice uomo con delle idee da portare fra la gente. Ha avuto la fortuna di vedere la sua parola ascoltata; e sapete perchè? Perchè a differenza dei più illustri filosofi greci lui parlava ai sentimenti della gente, non alla loro ragione. Questo per me ne fa quasi un demagogo, uno che sfrutta i punti deboli della nostra psiche per indurci a credere alle sue idee.
    Ricordiamoci sempre che la religione è l’oppio dei popoli.

  28. ALFREDO

    x pibond (26)
    I miei complimenti, Pietro, ti stai meritando la vita eterna e il paradiso; investi ancora un po’ su commenti come quello che hai appena scritto, e sarà tuo… 🙂

  29. sara

    In risposta al commento 21: credo che tu Eugenio abbia proprio fatto goal, l’essere giusti non è una cosa razionale ma irrazionale, nel senso che non si sta a calcolare se conviene, cosa porterà ecc.. Uno intuisce dove deve stare, cosa deve fare e lo fa perché, forse la ricompensa è proprio lì: nel fare la cosa giusta. In risposta al commento 22:Bisogna vedere se è vero che così sono andate le cose, giusto?
    Sinceramente quello che più mi colpisce del cristianesimo è la compagnia di Dio qui e ora, ciò che succederà con la morte non lo conosco, porto con me faticosamente la speranza che si renda definitivo la storia degli uomini, la vita del mondo tutto. L’incontrare Gesù risorto, è solo un’esperienza che hanno fatto alcuni uomini, sono libera di dire che erano ubriachi, che erano psichicamente labili o quant’altro, a me interpella il fatto che Gesù, questo ebreo marginale (dal titolo di un libro che spero di riuscire a leggere con attenzione), sia stato così profondamente uomo. Credo che essere cristiani voglia dire questo. Essere uomini. Alcune delle cose che dici, una persona intelligente e con una minima conoscenza della critica storica alla quale sono stati sottoposti i vangeli, e non credente, le rigetterebbe come calunnie, come espressione di un’ignoranza gratuita. La veridicità dei vangeli è un problema serio. E per finire, non mi pare proprio che il vangelo o i vangeli, visto che le differenze ci sono e fanno problema, siano l’espressione di qualcuno che ha voluto plagiare o convincere del paradiso nell’aldilà, a me sembra che siano scomodi, scomodi per chi li voglia leggere seriamente, scomodi per la Chiesa che continua a proclamarli e a farsi giudicare da essi.
    Rubo un espressione a Fulvio Ferrario che parlando in una trasmissione radiofonica che si occupava di un libro “non santi ma uomini” di Alberto Gallas, così diceva : la fede è una specie di nevrosi che consiste in ciò che… qualunque cosa uno dica o faccia in positivo o in negativo compreso ciò di cui si vergogna deve essere messo in una relazione con Gesù, questa è una specie di coazione che indubbiamente secondo molti che mi stanno o mi stavano vicini determina qualche reazione un po’ patologica, appunto per questo parlo di nevrosi ma che certamente è la passione della vita. Se Alfredo vuol provare a guarire tutti quanti, a lui la parola
    Al commento 27 di Kara: e così Gesù di Nazareth “Ha avuto la fortuna di vedere la sua parola ascoltata”, alla faccia!, ha fatto una bella fine per essere stato ascoltato! Per quanto riguarda la ragionevolezza e i sentimenti sui quali secondo te Gesù giocava, pensa che a me Gesù è sembrato un tipo tosto, uno di quelli che diceva quello che pensava, per quanto riguarda i sentimenti, suoi però, anche lui s’intristiva, s’arrabbiava, eccc…., non era l’uomo tutto d’un pezzo privo di emozioni. Certo rimane il problema che l’accesso diretto a Gesù non ce l’abbiamo, noi possiamo conoscer qualcosa del Gesù incontrato da altri, quindi mediato da una testimonianza. Ma non è che è obbligatorio fidarsi di sti qua se non ci va bene!

  30. ALFREDO

    Non mi risulta che ci sia in giro un vangelo scritto direttamente da Gesù.

    Eppure, se come si dice, a dodici anni conversava già coi dottori del tempio, come mai non ha scritto neppure due righe autobiografiche?
    Mmmmmm, qui gatta ci cova.
    E quei quattro che si firmano con i rispettivi nick-name (Luca, Marco, Matteo e Giovanni) chi sono veramente? Quali altre “opere” hanno scritto? Quali sono le loro referenze? Quando sono nati? Quando sono morti?

    Io sento tanta, troppa gente, che continua a dar voce a “Gesù” e a “Dio”, (senza esibire uno straccio di procura notarile o quantomeno una delega scritta), tenendoli “uno” su una mano ed “uno” sull’altra, come se fossero due bravi burattini messi lì al servizio di tutti coloro che sperano in un MIRACOLO “qui”, ed in una GRANDE RICOMPENSA “di là”, per il solo fatto di sentirsi provvisoriamente vivi e senza sapere perché.

  31. ALFREDO

    Non mi risulta che ci sia in giro un vangelo scritto direttamente da Gesù.

    Eppure, se come si dice, a dodici anni conversava già coi dottori del tempio, come mai non ha scritto neppure due righe autobiografiche?
    Mmmmmm, qui gatta ci cova.
    E quei quattro che si firmano con i rispettivi nick-name (Luca, Marco, Matteo e Giovanni) chi sono veramente? Quali altre “opere” hanno scritto? Quali sono le loro referenze? Quando sono nati? Quando sono morti?

    Io sento tanta, troppa gente, che continua a dar voce a “Gesù” e a “Dio”, (senza esibire uno straccio di procura notarile o quantomeno una delega scritta), tenendoli “uno” su una mano ed “uno” sull’altra, come se fossero due bravi burattini messi lì al servizio di tutti coloro che sperano in un MIRACOLO “qui”, ed in una GRANDE RICOMPENSA “di là”, per il solo fatto di sentirsi provvisoriamente vivi e senza sapere perché.

  32. Per la seconda volta propongo di ritornare sul tema proposto da Vincenzo su giustizia e ricompensa.
    Mi pare che sino a qui si sia fatta una grande confusione mescolando l’argomento in salsa immanentistica e trascedentale.
    Sara e io abbiamo il problema che gli altri interlocutori non accettano perché pensano che la trascendenza sia un emerita sciocchezza inventata per far stare buona gli imbecilli. Ergo, cara Sara, o siamo imbecilli, o siamo turlupinatori: non c’è scampo.
    Ora, faccio un nuovo tentativo, proponendo uno scenario ad uso di ingegneri e miscredenti che consenta a loro di formulare e verificare liberamente ogni tipo di teoria sotto il profilo scientifico
    ————.
    Ilya Prigogine (premio Nobel per la chimica, nel 1977) dà indicazioni al riguardo e riporto, per intero quanto dice nelle conclusioni a pagina 45 del suo libro “Il futuro è già determinato?” pubblicato in Italia da Di Renzo.
    ————-
    “Arriviamo così ad una diversa concezione della realtà.
    Laplace e Einstein credevano che l’uomo fosse una macchina all’interno della macchina cosmica.
    Spinoza affermava che senza saperlo siamo tutti macchine, cosa che non sembra particolarmente soddisfacente. Tuttavia, nel descrivere il nostro universo evoluzionistico, abbiamo fatto solo i primissimi passi. La scienza e la fisica sono ben lontane dall’essere complete, come invece qualche fisico teorico vuole farci credere.
    Al contrario, ritengo che i vari concetti, che ho cercato di descrivere in questo mio intervento, dimostrano che siamo solo all’inizio. Non sappiamo esattamente cosa corrisponde al Big Bang, non sappiamo cosa determina le famiglie delle particelle, non sappiamo in che direzione si muove l’ evoluzione biologica.
    Posso concludere il mio intervento con qualche osservazione generale. La fisica del non equilibrio ci ha fornito una migliore comprensione del meccanismo della comparsa degli eventi. Gli eventi vengono associati alle biforcazioni. “Il futuro è già determinato?”. Soprattutto in quest’epoca di globalizzazione e di rivoluzione basata sulle reti, il comportamento a livello individuale è il fattore chiave nel plasmare l’evoluzione dell’intera specie umana, proprio come poche particelle possono alterare l’organizzazione macroscopica della natura e dar luogo alla comparsa o scomparsa di strutture dissipative. Il ruolo degli individui è più importante che mai e questo ci porta a credere che alcune delle nostre conclusioni rimangano valide nelle società umane.
    Una famosa affermazione di Einstein dice che il tempo è “un’illusione”. Einstein aveva ragione per i sistemi integrabili ma il mondo intorno a noi è essenzialmente formato da sistemi non integrabili. Il tempo è la nostra dimensione esistenziale. I risultati qui riportati dimostrano che il conflitto tra Parmenide e Eraclito può essere estrapolato dal contesto metafisico e formulato nei termini della moderna teoria dei sistemi dinamici.”
    ——————-
    Ricopio la parte più significativa del brano:
    “Soprattutto in quest’epoca di globalizzazione e di rivoluzione basata sulle reti, il comportamento a livello individuale è il fattore chiave nel plasmare l’evoluzione dell’intera specie umana, proprio come poche particelle possono alterare l’organizzazione macroscopica della natura e dar luogo alla comparsa o scomparsa di strutture dissipative. Il ruolo degli individui è più importante che mai e questo ci porta a credere che alcune delle nostre conclusioni rimangano valide nelle società umane”.
    ———————
    Checché ne dica Alfredo, ora occorre pensare che noi, in effetti, siamo solo schiavi del tempo che non è un illusione, ma è storia che ognuno, nel presente, vede fluire dal passato al futuro.
    Alfredo, senza una qualsiasi fede non c’è vita per l’individuo come singolo e come componente della società.
    ———————-
    Una delle prime cose che ho imparato all’università è quella di rifuggire dai ragionamenti apodittici circolari. Giovanni Demaria diceva che è come stare sulla circolare, che non arriva mai al capolinea.
    http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Demaria
    ———————-
    Accettato lo scenario testé proposto, credo sia assai semplice rimettere a posto le cose per dare una risposta condivisa da tutti, partendo dalla domanda:
    “Poste le disposizioni esistenti per la copertura delle cattedre universitarie, le risorse esistenti per farle svolgere i compiti istituzionali, le circostanze narrate da Vincenzo portano a concludere che il suo comportamento sia stato giusto o ingiusto”?
    Della ricompenza se ne parlerà dopo. A me pare, comunque, che, nel contesto, il premio non possa entrare nel discorso. Se uno ha fatto il proprio dovere, come può pretendere di avere una ricompensa? E da chi? Dall’ingrato?

  33. sara

    Mi sono accorta solo adesso che ho letto il commento di Eugenio, il n. 21 senza la “DI” amico e maestro “DI” Fano. E da questo sbaglio è partito il pensiero. Il caro prof. Fano in un altro post aveva parlato del fatto che un po’ di irragionevolezza (forse lui diceva pazzia) ci vuole, sempre il prof. Fano è stato insegnante di Eugenio e io con queste due informazioni non ho letto la di quindi non ho rispettato quello che ha detto Eu.

  34. x Sara > beh anche Enzo ha diritto ad essere irragionevole, come tu a saltare le parole di un commento, il senso sembra reggere lo stesso 😉

    Per quanto riguarda la tua appassionata difesa di Gesù sono con te, sono sempre con chi si mette fra gli uomini per tirare pietre agli idoli.

    Un abbraccio

  35. x Sara > Ps. Da una cosa non seria come la vita, non posso discendere problemi seri a mio avviso. Quindi una parte del tuo commento non la sento molto come mia.

  36. ALFREDO

    Per Pibond (32)

    Premesso che per me ti sei già abbondantemente guadagnato il tuo agognato Paradiso, cercherò di rispondere (con il nuovo titolo di “illetterato” che mi hai benignamente elargito), al quesito che abilmente hai saputo condensare in queste poche righe:

    “Poste le disposizioni esistenti per la copertura delle cattedre universitarie, le risorse esistenti per farle svolgere i compiti istituzionali, le circostanze narrate da Vincenzo portano a concludere che il suo comportamento sia stato giusto o ingiusto”?

    *****
    Eccoti la mia risposta: il comportamento di Vincenzo è da considerarsi giusto per il suo cuore (a cui non si comanda, come dice la panettiera di Eugenio (25) ed ingiusto per il suo fegato (a Vincenzo deve essergli preso un attacco di bile vedendosi vanificare il suo disinteressato gesto di bontà…)

    In ogni caso, come dice spiritosamente eikan (15), spero che il mio punto di vista non mandi la gente al martirio…

  37. ALFREDO

    Rettifica errore materiale:
    In ogni caso, come dice spiritosamente “e” (15), spero che il mio punto di vista non mandi la gente al martirio…

  38. Credo che la risposta al quesito stia nella storia che Vincenzo propone nel post di apertura. Definire “giusto” o “sbaglato” può ricadere in un criterio di soggettività od oggettività.

    Soggettività quando si osservino questioni come “è stato giusto per Vincenzo?”, “è stato giusto per il suo collega?”, “è stato giusto per gli studenti che hanno avuto un insegnante demotivato?”, “è stato giusto per il sistema?”, “è stato giusto per il rispetto della cultura e della materia?”.
    Inevitabilmente questo approcio genera l’impossibilità di un giudizio certo – la giustizia così intesa è anarchica, forse è stato giusto per il collega che meritava il posto dopo cotanta carriera, ma ingiusto verso gli studenti che non hanno ricevuto un insegnamento all’altezza.

    Occorrerebbe allora mettere tali criteri in una sorta di gerarchia, dove un giusto più giusto degli altri ha la meglio e stabilisce il criterio “oggettivo”. Bella sfida.

    Onestamente credo, visto che si citavano i Vangeli, che un approcio veterotestamentario si destinato a cadere in questa aporia. Osservando invece l’insegnamento di Gesù, si può notare come in tutti i “nuovi comandamenti” l’elemento dominante sia il sè. Il Vecchio Testamento ci diceva che è “giusto” non rubare – concetto “oggettivo”. Ci diceva che è giusto “onorare il padre e la madre”. Di nuovo.
    I “comandamenti” di Gesù sono, invece, sorprendentemente improntati alla definizione di un metro “personale” di giustizia. “Ama Dio sopra ogni cosa” – non equivale a dire “ama Dio almeno X”, o “ama Dio come Gina”. Vuole dire “ama Dio quanto ne sei capace”. Probabilmente è una cosa personale, ma lo trovo assolutamente rivoluzionario rispetto al generico concetto di “regola” religiosa. La “giusta misura”, la cosa giusta viene misurata sulla personale natura, capacità e sensibilità del singolo. La giustizia non è un valore esterno, un benchmark da raggiungere, un requisito da rispettare: è assolutamente relativa al singolo, e due persone possono essere “giuste” in modo diverso.
    Anche il comandamento “amatevi come io vi ho amato”, o “ama il prossimo tuo come te stesso”, sono riconducibili a questo modello. Sicuramente il riferimento non è quantitativo ma qualitativo.

    Uscendo dalla sfera religiosa, credo che questo sia l’unico modello seguibile. Non può Vincenzo sapere o decidere se la sua scelta è stata giusta per tutti quanti ne sono stati condizionati o ne hanno subito gli effetti. Allora l’unica ricerca possibile è quella di stabilire cosa è stato giusto per lui – ed egli è libero di mettere tutti quei fattori – sè, il collega, gli studenti – nella sua personale gerarchia e capire la “sua” giustizia. Può apparire una scelta anarchica, la giustiza “personale”, ed è assolutamente vero: però anarchica nel senso proprio del termine, di anarchia come assunzione di responsabilità e non delegazione della scelta. La giustizia “oggettiva” che seguiamo è un modello a cui aderire. La giustizia che scegliamo per noi ci definisce come esseri umani.

  39. Caro Mend, mi sembra che tu sia sulla strada giusta per una risposta condivisa.
    “La giustizia che scegliamo per noi ci definisce come esseri umani.” è il primo approccio nel partecipare nella società umana.
    Infatti, in una democrazia, ognuno dovrebbe essere portato a scegliere il partito più confacente al proprio senso di giustizia che risulta dal conflitto tra l’interesse proprio con quello dell’altro.
    Insomma ti schieri tra i seguaci di Ilya Prigogine.
    Hai forse trascurato una cosa importante. Nel tema esposto da Vincenzo appare che le risorse dell’Università sono insufficienti. Quindi nel quadro generale manca un approccio di verifica se ciò sia giusto o ingiusto.
    Ed è proprio questa carenza che vanifica la possibilità di valutare il “premio” e ciò per mancanza di riferimenti oggettivi per erogarlo.
    —————–
    Ne deduco che sia vero questo postulato. Trascendenti sono le teorie che non trovano riscontri scientifici nell’immanente.
    Le decisioni che prendiamo sono viziate da un certo contenuto di incertezza in quanto l’esito non risulta da verifiche sperimentali antecedenti. Tradurle le decisioni in azioni il cui esito è sperimentalmente noto, non comporta in sé una responsabilità personale o collettiva, se non quella di metterla in atto. Se decido di usare la macchina per andare in centro, sono matematicamente certo – in un certo ambito stocasticamente verificabile – che giungerò in centro senza che debba preoccuparmi se debbo scalare o meno le marce. Se decido di andare in centro in macchina per incontrare Alfredo col deliberato fine di tirargli i baffi pensando che si metterà in ginocchio e si pentirà per tutte le cose brutte che dice, … beh … corro un bel rischio perché il mio Angelo custode non so fino a che punto sia addestrato per contrastare Belzebù!
    E vi assicuro che il mio Angelo custode esiste, perché sono sopravissuto un incidente sull’autostrada dal quale ancora non so come ne sono uscito vivo. Una forza immane si è accumulata nel mio braccio che sprigionò l’energia sufficiente per portare il veicolo a fermarsi lungo il guardrail.

  40. ALFREDO

    Certo che hai un angelo-custode che ti ha salvato, Pietro:
    ma è sempre lo stesso angelo che ha rischiato di farti morire in autostrada, perché si era distratto un attimo da te, per tentare di convertire il mio caro inoffensivo diavoletto.
    E’ al tuo angelo-custode, quindi, che dovresti tirare i baffi, non a me…

  41. ALFREDO

    Mi pare di aver capito da quanto sopra esposto, che alle parole “GIUSTO/INGIUSTO”, vengano velatamente sottintesi i rispettivi termini “buono/cattivo”.
    In buona sostanza, secondo la morale ricorrente, da ciò è giusto dovrebbe scaturire il bene e da ciò che è ingiusto, il male.
    Ora, supponiamo che tutti gli abitanti della Terra siano giusti e che questa giustizia diffusa ed inalterabile procuri solo e esclusivamente il bene, allora questa discussione fra noi non avrebbe neppure ragione di esistere.
    Vincenzo non avrebbe aperto un blog di discussione poiché tutta l’umanità avrebbe condiviso al 100% tutte le sue idee e tutte le sue azioni.
    Domanda: vi piacerebbe un mondo così, fatto tutto di “vincenzi” felici e contenti?…

  42. e

    Consenso su tutta la linea al commento 38. Grande chiarezza espositiva, argomenti giusti.

  43. ALFREDO

    per “e” (42)

    Perfetto Eugenio.
    Non ho problemi ad aderire anch’io al commento 38 per gli stessi motivi da te rilevati.
    E già siamo in tre.
    Se tutta l’umanità ci dovesse seguire, potremo considerarci tutti “mendicanti” felici e contenti.

  44. Non è scontato che si sia tutti felici e contenti.

    Il commento di Alfredo su giusto/bene è molto permeante. Però, a mio modo di vedere, il rapporto è deduttivo e non induttivo.

    Nel momento in cui giustizia equivale a scelta, ossia alla rispondenza a quei valori che ci siamo scelti, allora la “qualità” della nostra giustizia dipende da quei valori che abbiamo privegiato. Il bene non scaturisce dalla giustizia – la giustizia dei “buoni” è generatrice di bene, potenzialmente.
    Spesse volte una scelta giusta, anche in un ordinamento di pensiero che creda in una giustizia valida erga omnes, può portare a conseguenze “cattive”. E vice versa.
    In un mondo di “buoni”, la giustizia sarebbe probabilmente generatrice di (noioso) benessere. Nel mondo reale, per il fratello di una ragazza stuprata e uccisa la pena di morte può essere “giustizia” – ma è “buona” giustizia? Torniamo agli argomenti di cui sopra. E in fondo, stabilire ciò che è buono è tanto difficile quanto stabilire cosa è giusto.

    Certo è che il commento di Alfredo sottolinea un altro rischio del trovare una chiave di lettura globale. Un mondo in cui non si discute – la concordia assoluta. Mi viene in mente Huxley onestamente, e la sua anti-utopia: il Brave New World non è neanche una distopia, perchè risponde perfettamente a tutte quelle istanze di cui spesso ci riempiamo la bocca pensando che la felicità sia l’assenza di conflitti e di problemi. Ma senza conflitti non esistono opinioni, senza problemi non esiste comunità, e senza la possibilità di essere “ingiusti” non esiste giustizia. Il mondo nuovo di Huxley è perfettamente pacifico e completamente schiavo del pensiero unico. Dio ci scampi dalle utopie. E poi c’è chi si chiede “ma perchè Dio ci avrebbe creato imperfetti?”

  45. E’ stato giusto per Vincenzo, o per l’amico oppure per l’istituzione …..
    A mio parere, dovete riformulare il ragionamento perchè il bene ed il male non dipende da ciò che è giusto od ingiusto, ma dal comportamento della persona che agisce e dal bene e dal male che ne deriva. Si dice che Alfredo è giusto (Ma chi gli chiede di emettere sentenze?) non perché è giusto (tautologia), ma perchè ha compiuto azioni buone, come quella di tagliarsi i baffi. Quindi meglio di giusto, gli diciamo che è buono.
    Tra l’altro, a mio parere, questa distinzione toglierebbe di mezzo il problema dell’esistenza di Dio, riportandolo dal ragionamento alla fede.
    Infatti, in questo nostro mondo occidentale, la giustizia non si dovrebbe occupare di intenzioni o di comportamenti ma dovrebbe intervenire solo per chi commette atti illeciti.
    —————
    L’intervento della giustizia sulle opinioni o sulle intenzioni delle persone sono gravemente lesivi della libertà individuale:
    1. libertà di parola
    2. libertà di culto
    3. libertà dal bisogno
    4. libertà dalla paura
    (Franklin Delano Roosvelt, al Congresso degli Stati Uniti il 6 gennaio 1941)

  46. ALFREDO

    Potrebbe sembrare paradossale, ma sono convinto che siano proprio tutte le forme istituzionali finalizzate al raggiungimento della giustizia, (così come la intende Pietro – 45), a dare veste legittima agli atti illeciti.

    Se si decidesse dall’oggi al domani di abolire in tutto il mondo, il potere giudiziario, le forze dell’ordine e tutti i codici civili, penali, amministrativi, nonché le religioni, svanirebbero di colpo tutti gli atti criminosi, peccamonosi e affini, con grande vantaggio per la rinascita ed il risveglio di nuove e più vere forme di libertà.

    Resterebbe soltanto da comprendere il senso della vita, della sofferenza e della morte, che comunque gli attuali poteri Istituzioni, per quanto moderni e sofisticati, non comprendono né risolvono.

    Qui lo dico e qui lo nego.

  47. … e continuiamo a restare in un circolo vizioso!
    Alfredo sarebbe nel vero se non ci fosse la storia, la nostra storia. Ovvero se non ci fosse la nostra corporalità, la nostra sensibilità che si manifesta con passioni intense per gestire risorse per soddisfare i bisogni e per sopravvivere.
    Solo l’uomo ha una storia. Per noi il tempo non è un’illusione.
    L’ho già detto e lo ripeto a costo di mettermi a raccontare la storia dello stento, quella che dura tanto tempo e che non finisce mai.
    Il mio cane Oliver non ha una storia; ha la mia storia. Sta nella mia storia anche per gli altri. Il mio cane Oliver non ha la nozione del tempo. E’ sincronizzato con l’orologio della pappa. Quella che gli diamo due volte al giorno.

  48. Svolta molto interessante. Condivido al 200% il ragionamento su buono/giusto. Ho cercato di dire la stessa cosa ma con metà dell’efficacia.

    Da “giurista” (ossia come uno che ha studiato legge) ho sempre trovato interessante l’antinomia legge/giustizia.
    L’idea di fondo è che dovrebbe esistere una giustizia che prescinde dall’esplicitazione in un tomo o in una norma.
    La legge è l’applicazione di un modello soggettivo all’universalità di una comunità. Io decido che fare x è illegale, quindi sbagliato, quindi cattivo, quindi punibile. Anche prescindendo dalle implicazioni di quelle leggi che regolamentano più che vietare (quindi dando al senso “impuro” di giustizia che la legge segue un valore non solo di “cosa fare” ma anche di “come fare”), è evidentissimo che come tale la legge può essere ingiusta.

    O no?
    In un regime di giustizia “soggettiva” la legge potrebbe essere espressione dei più, o dei meno. Ma alla fine qualunque modello scelto non sarebbe universale. Immaginiamo una causa di affidamento. E’ veramente immaginabile una legge universale che risolva con “giustizia” ogni singolo caso? E anche affidandoci al valore umano del giudice, non diventa nuovamente scelta soggettiva?

    A questo punto la soluzione mi sembra scindere le due cose: giustizia e legge sono cose diverse, e la seconda è un male necessario.
    A questo punto però si cade nel problema sollevato da Alfredo. Io smetto di dire che rubare è illecito. Smetto di dire che per entrare a museo si deve pagare. Smetto di dire che se fai qualcosa di “illegale” ti vengo a prendere e portare in prigione.
    Cosa accade? Forse quello che dice Alfredo. Forse l’umanità si solleverebbe e tornerebbe a scegliere, invece che obbedire. Forse la legge lascerebbe il posto alla giustizia.
    Però pensiamo ad un caso. Giustizia soggettiva: il padre che ritiene giusto (suo “diritto”) picchiare i figli o la moglie per farli obbedire. Senza paura di punizioni o giudizi, niente lo fermerà. Nemmeno la sua morale, perchè per lui ciò che fa è “giusto”. Non solo un mondo del genere deve presumere in una bontà generale dei valori fondanti del concetto personale di giustizia, ma deve anche presupporre che le forze date ad ogni essere libero siano uguali, altrimenti uno prevarrà sull’altro.

    Alla fine la domanda sollevata dall’indagine sul binomio legge/giustizia che feci dialogando con un mio vecchio professore è cinica (e dolorossima per chi sogna un mondo anarchico come me) ma a mio avviso interessante: ma alla fine l’uomo merita la libertà?

  49. ALFREDO

    Mi fai venire in mente la leggenda di Caino, Mendicante.

    Caino non può aver commesso reato uccidendo Abele, all’epoca non c’era un codice penale.
    E’ stato il codice della sua coscienza a suggerigli l’espiazione con la morte, ma Dio, perfido, lo ha condannato a vita.
    Abele, grazie all’aiuto del fratello, è riuscito a morire.

    P.S. (Non farti illusioni, o mendicante, non sono il tipo che aiuta la gente).

  50. L’esempio però è assolutamente perfetto.

    Caino non ha una legge a dirgli che è reato. Decide lui stesso che ciò che ha fatto è ingiusto – il termine reato è puramente “umano”, legale, non ha nulla a che fare con la giustizia.

    La punizione divina, invece, mostra l’applicazione di una giustizia oggettiva, dall’alto. E allora cosa era giusto per Caino? Morire o vivere?

    Se ci pensi hai toccato una delle più grosse contraddizioni della legge moderna (non tanto contemporanea quanto moderna). Il suicido è illegale. Ma come può essere reato, se non posso punirti, ma solo cercare di impedirlo? E a chi fai danno?

  51. Ma il Signore rispose: “Chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte”.
    ————
    Ponete mente alle interdipendenze correnti tra intenzione/atto/danno e al fatto che, nell’immanente, la giustizia ha in prevalenza una funzione risarcitoria. Le leggi prevedono sanzioni per tutto ciò che non è consentito e non viceversa. Infatti, quando la legge regolamenta ciò che è consentito, sminuisce la libertà di agire della persona, sottoponendola a vincoli ingiusti. Ad esempio, subordinare l’esercizio di un’impresa commerciale alla concessione di una licenza è una grave limitazione alla libertà individuale. Basta prevedere una sanzione per il caso di concorrenza sleale.
    La licenza scoraggia l’intenzione e danneggia il mercato.
    Dimostratemi il contrario, ve ne sarò grato!
    ———–
    N.B. Attendo ancora una risposta al quesito posto qualche tempo fa:
    “Archimede era più o meno fesso di Einstein?”
    Il ché vuol dire: “L’evoluzione l’ha subita l’uomo o la tecnologia”?

  52. Sottolineerei che il discorso ad esempio sulle licenze commerciali è legato non tanto alla legge come giustizia ma alla legge come strumento del sistema.

    La maggior parte del corpus normativo è autoreferenziale – serve a sostenersi. Paghi la licenza non perchè è “giusto” ma perchè il sistema deve vivere. Qui usciamo dall’ambito puro della legge e ci troviamo a chiedere “il sistema di vita occidentale (ora globale/globalizzato) è giusto? la concezione che un uomo debba lavorare 8 ore al giorno per meritare di vivere è giusta?”.
    Noi non viviamo in un ambiente “vergine” che modelliamo a nostra scelta e volontà. Nasciamo in un sistema in movimento, che si autoalimenta senza chiederci se lo condividiamo. La legge è sintomo, ma tutto il sistema andrebbe giustificato logicamente e moralmente – giustificato, se vogliamo.

    Mi ricordo l’osservazione di una mia amica, studentessa napoletana di filosofia: “La democrazia non è una scelta, come non lo è la società – se io decido di rifiutare le vostre regole, non posso andare nel mezzo di un bosco e vivere a modo mio, perchè quel bosco è comunque “vostro” perchè così ha deciso qualcuno prima ancora che nascessi. La verità è che per chi non si riconosce nel modello sociale dominante non esiste letteralmente un posto al mondo”.

  53. quoto Il Mendicante:

    Mi ricordo l’osservazione di una mia amica, studentessa napoletana di filosofia: “La democrazia non è una scelta, come non lo è la società – se io decido di rifiutare le vostre regole, non posso andare nel mezzo di un bosco e vivere a modo mio, perchè quel bosco è comunque “vostro” perchè così ha deciso qualcuno prima ancora che nascessi. La verità è che per chi non si riconosce nel modello sociale dominante non esiste letteralmente un posto al mondo”.

    Questo è il classico modello psicologico dello sconfitto, che si disfa da solo nello stesso momento in cui lo si legge. Parala infatti di “vostro” fra virgolette, lasciando trasparire che appunto non è vostro in senso proprio, ma “vostro”. Sul piano psicologico le virgolette si giustificherebbero come la paura dell’arbitrio assertivo.

  54. La posizione difensiva si può però giustificare facilmente, così come la paura. Come si può essere assertivi quando si realizza la propria impotenza nei confronti della colossale macchina di cui non ci si sente parte? Così come la diffidenza verso chi il modello lo accetta. Il momento psicologico di realizzare l’abisso che sta tra la libertà di pensiero e quella di azione può condurre ad affermazioni facilmente ridicolizzabili, ma le cause di tali affermazioni non vanno sottovalutate.

    Più che di sconfitta parlerei di passività. Non condivido la posizione della mia vecchia amica, però capisco la sua riflessione sullo scoramento dovuto al fatto di non poter combattere il “sistema” se non dall’interno, e quindi alle sue regole. Grottesca l’immagine di una persona che finalmente, riuscendo ad affrancarsi da stati, norme e società, lo farebbe facendosi rilasciare regolare permesso dalle autorità di cui sopra.

    Però porrei enfasi su un aspetto di quel commento, che forse è meno iperbolico e teorico di quanto non sembri. La riflessione è permeante quando la si osserva da un punto di vista più normativo che filosofico – la meccanica impossibilità di trovare una “terra di nessuno”. Si parla di libertà, ma la sola libertà che il modello di vita che l’uomo ha costruito per se stesso è la scelta tra adesione o dissenso. La disobbedienza è un’opzione marginale, piuttosto stupida e comunque inefficacie, e non soddisfa l’anelito della persona che non si riconosce nella società in cui è nata, perchè disobbedire ad una regola equivale a riconoscerla. Se vogliamo è l’utopia della ribellione o della rivoluzione – una lotta per distruggere le regole che termina immediatamente colla scrittura di regole nuove. Quello che si può osservare è che con l’andare del tempo non è del tutto univoca la certezza che la nostra libertà aumenti col progresso. Aumenta sicuramente il numero delle nostre libertà, ma la loro intensità?

  55. ALFREDO

    Se si immagina l’ipotesi di una possibile civiltà che sia definitivamente e totalmente al di fuori dell’attuale sistema di regole che disciplinano ed indirizzano la vita sociale, non si possono portare come esempi demolitori di quell’ipotesi, il padre che picchia i figli, o il bosco che sia di proprietà di qualcuno, perché, in mancanza di regole di sorta, non esisterebbe più né il vincolo familiare, né la proprietà privata.

    L’abolizione totale delle regole, inoltre, non può essere certo imposta dall’alto, ma neppure organizzata partendo dal basso, altrimenti, come osserva giustamente il Mendicante, sorgerebbero necessariamente altre regole ed altre gerarchie, non meno dannose di quelle già esistenti.

    Se dovesse mai succedere che un giorno ci sarà un mondo senza regole, (ho detto un “mondo”, non ho detto “società”) probabilmente succederà “spontaneamente”, quando pian piano i singoli individui del sistema prenderanno coscienza che il senso di nausea generalizzato che aleggia e pervade tutto e tutti, dipende proprio dall’eccessiva regolamentazione e dell’assurdo assioma che la libertà dell’uno debba finire là dove comincia la libertà dell’altro.

    Quando Caino ha ucciso Abele non ha avuto alcun rimorso di coscienza, così come Abele ha accettato di seguirlo fino al patibolo, senza porsi troppe domande.
    Tutto il casino sarebbe successo dopo, quando Qualcuno, tuonado con voce imperiosa e minacciosa dall’alto, avrebbe chiesto a Caino notizie di suo fratello: sto indicando quello stesso DIO che secondo la Genesi avrebbe bisogno di essere venerato dall’uomo per sentirsi gratificato, e che lo stesso Pibond ha bollato come “sette volte vendicativo” (51).
    Per me non è altro che la deificazione del potere dell’uomo sull’uomo.

    Certo che l’uomo è libero e che merita la libertà, mendicante: deve soltanto trovare il coraggio di prendersela. Non di mendicarla.

  56. Un giorno vi racconterò come nasce questo tanto vilipeso nickname e vi farete quattro risate. Temo gli stiate dando un’importanza eccessiva.

    Trovo molto giusta l’analisi sul mondo futuro e la sua genesi spontanea. In quello scenario però andrebbe anteposta una premessa sulle regole: occorre forse distinguere tra regole umane e regole di natura. Il rapporto padre e figlio è tanto necessario quanto la respirazione o la morte. Non è un qualcosa che possiamo derubricare o far sparire. Al massimo possiamo ignorarlo o regolamentarlo, ma è un dato di fatto. Le regole di natura sono, in uno stato di inazione, ineludibili. E qualunque tentativo di modificarle diverebbe regola in se.

    L’ultimo punto, sulla libertà (mendicata o presa) verte per me soprattutto sul fatto o meno che l’uomo sia all’altezza di essere libero. Perchè torniamo al discorso di Pibond, e ci troviamo di fronte alla domanda se la libertà come la giustizia è “buona” quando buone sono le intenzioni di chi la esercita. Immaginiamo l’utopia di un mondo libero, e mettiamoci un pedofilo. Un bel problema. A meno che non supponiamo che libertà sia anche libertà da ogni “impulso” o “malformazione” del carattere, nel qual caso avremmo un’umanità fatta di esseri amorfi e indistinguibili (e torniamo a Huxley). Oppure supponendo che nel mondo libero la libertà dei giusti combatta la libertà dei cattivi, e qui torniamo ai fumetti Marvel o quanto meno al caos.
    Il problema vero è se siamo certi che in un mondo “libero” e senza regole la pedofilia sarebbe “male”. Senza regole significa senza regole.

    Per questo dico che non sono certo che l’umanità sia pronta per essere libera. La libertà presuppone la responsabilità suprema, e credo che internet ci insegni che in assenza di responsabilità o punizioni l’uomo non diventa migliore o più responsabile, anzi.

  57. ALFREDO

    In un mondo così, il rapporto padre/figlio ti riguarda soltanto se sei il padre o il figlio, e riguarda solo e soltanto te.
    Potresti anche interferire nei rapporti dei terzi, ma non avresti alle spalle una società che possa sostenerti in alcun modo.
    Sei tu che devi decidere se sei pronto per godere della libertà assoluta e senza regole e puoi farlo soltanto se accetti il fatto che intorno a te vi siano altri individui che possano interpretare “diversamente da te”, il loro senso di libertà.

    Tira fuori la tua paura, mendicante: è quella che ti frega, altro che chiacchiere!

  58. Ma la libertà non è l’unico valore.
    Tu così non esci dall’empasse del “la mia libertà finisce dove comincia la tua”. Se vedo un bambino venire picchiato, e questo va contro i miei valori, allora io scelgo che la cosa mi riguardi. Scelgo di intervenire e proprio perchè è un regime di libertà nessuna regola mi dice che non posso farlo o che spetta alle autorità farlo.

    Se sono costretto a rispettare la libertà altrui che libertà è? Al massimo posso scegliere di rispettare la libertà altrui, qualora io creda che essa sia “giusta” – e questo non mi limita, perchè è una scelta autonoma. Ma se devo accettare a prescindere che le altre libertà non mi riguardano allora non ho una società libera, ho una non-società di individui isolati in cui l’interazione è impossibile.

    Libertà è assunzione di responsabilità. Nel mondo libero potrò andare in strada a prendere a calci la gente – poi questa si rivolterà e mi appenderà ad un albero.
    Sarebbe interessante capire allora se, visto che parli di paura, nel mondo libero la paura non finisca poi per farla da padrone.

    Rinnovo la mia convinzione che libertà e giustizia si fondino sulla scelta e l’assunzione di responsabilità. E queste non riguardano solo noi. C’è una linea di demarcazione molto netta tra lasciare vivere gli altri secondo i loro valori e l’ignorare gli altri quando calpestano i valori degli altri. L’anarchia non è l’assenza di responsabilità, è l’assunzione totale di responsabilità. La differenza tra anarchia e società organizzata è che nell’anarchia non si delega ad un’organizzazione terza il compito di raddrizzare ciò che storto – non si declina la responsabilità in terza persona.

  59. ALFREDO

    Stavo descrivendo la libertà del gatto che mi circola continuamente intorno, Mendicante.

    Quella descritta da te, invece, è quella tipica degli uomini: e credo sia perfetta, per ADESSO, così com’è.

    Per quanto mi riguarda, se dovesse esserci veramente la reincarnazione, la prossima volta mi piacerebbe vivere da gatto.

    Buona serata, miaaaoooooo…. :)))

  60. “La libertà del gatto” sarebbe un eccellentissimo (sic) titolo per un saggio breve.

    Buona serata ^^.

  61. Per mend
    Il problema non è se è giusto lavorare 8 ore al giorno o se è giusto condizionare l’apertura dell’esercizio commerciale ad una licenza.
    Il problema è se la mia libertà è tutelata dal fatto che sento l’obbligo di lavorare otto ore al giorno oppure, se la tutela sussista anche quando c’è da aspettare otto mesi, corrompendo anche un pubblico ufficiale perché apra il cassetto dove giace la pratica della mia licenza.
    Giustamente dici che questo “corpus normativo è autoreferenziale e serve per il proprio sostentamento”. E’ vero, ma non puoi dedurre che questo sistema sia ingiusto solo per questo motivo. Se il sistema degenera, non serve andare nel bosco per cercare la libertà, ma eliminare gli orpelli che consentono ai disonesti di speculare sui bisogni altrui.
    —————-
    La libertà esiste quando si manifesta volontariamente la propensione a partecipare nella società, rispettandone i vincoli e gli obblighi istituzionali.
    A mio parere, la propensione può essere indotta, necessitante o volontaria.
    Propongo la lettura del prospetto contenuto in questo file, nel quale espongo l’articolarsi di questa categoria nel processo sociale.
    Qui, ancora non parlo di giustizia, né di responsabilità; ma solo di libertà.

    Fai clic per accedere a propens_e_azione.doc.pdf

    Per Alfredo,
    Mi fai impazzire, ma ti ringrazio perché mi fai ripensare molte cose.
    A mio parere, il gatto non è collocabile nel mio prospetto. Al posto del gatto, nel mio cuore, ho Oliver, nero come il carbone e invisibile anche in una notte sotto la luna. E’ la mia protesi e gode sulla mia libertà. Se lo libero nel bosco, mi spia, senza che lo possa vedere, per accertarsi che lo sto cercando.
    Peraltro, in casa, è in permanenza allocato sotto il frigorifero e ne diventa la protesi.
    Oliver ed io siamo reciprocamente schiavi l’uno dell’altro!
    Ecco l’esempio di una “propensione” volontaria per stare insieme.
    Buona serata
    Buh buh buh.
    Ai gatti Oliver annusa la coda, dopo averli ipnotizzati!

  62. e

    x il mendicante. Babbo natale non e’ dato. Non si puo’ vivere protetti dalla testuggine che mantiene in piedi l’ordine sociale, respingendo di scudo la paura, e al contempo piagnucolare per la libertà. Tertium non datur (sebbene la logica aristotelica paia sbagliata, ma proprio perche’ non sono nemmeno dati l’uno e il due, in termini assoluti). Prova a vedere Into the wild, e’ un filmetto che spiega bene cosa sia la liberta’ e la morte.

  63. ALFREDO

    Guardate che la libertà del gatto (59-60) non era mica uno scherzo!

    Gli animali (compreso il nero Oliver), godono proprio di quel grado di libertà – non supportata né protetta o condizionata da quella fitta rete di norme laiche e religiose – a cui l’uomo potrebbe accedere soltanto se riuscisse a metabolizzare e riconoscere senza vergogna (la vergogna non è argomento di discussione)la propria paura (62).

    E almeno sotto questo profilo, e non è poco, forse andrebbe rivista la scala gerarchica che vedrebbe l’uomo “re nella natura” (pibond).

    Per quanto mi riguarda metterei al primo posto il Sasso (magari con un gatto dipinto sopra), poi l’Erba gatta, poi il Gatto, ed infine il sottoscritto a cui non dispiacerebbe essere promosso gatto.

    Il gatto, per esempio, si aspetta una ricompensa ogni volta che mi vede – fregandosene altamente se l’azione che ha appena compiuto sia giusta o meno – ma non si fa il fegato amaro (come il nostro amico Vincenzo) se ignoro le sue fusa e rivolgo le mie attenzioni altrove.

    Si, credo proprio che andrebbe rivista la scala gerarchica dei valori.

  64. Partendo dal cane, però.
    Non esiste “creatura” più egoista, opportunista ed ingrata del gatto.
    Allora cominciamo dalle prime due categorie: Coloro che amano i cani e coloro che hanno il gatto in casa.
    Questi ultimi si dividono in due sottocategorie.
    Quelli che hanno piacere di vedere il gatto che fa le fusa e quelli che, come Alfredo, “ignorano le loro fusa e rivolgono le loro attenzioni altrove”.
    Le fusa del gatto sono la sublimazione del loro egoismo: tradotte significano:”Come sto bene! Come sto bene! Come sto bene! Come sto bene! Come sto bene! Come sto bene! ….” sino al momento del risveglio!
    Questo per quanto riguarda cani e gatti!
    —————-
    La scala gerarchica dei valori, quale sarebbe?
    Ha senso parlare di valori quando si riscontrano fenomeni o enti non misurabili?
    Oliver abbaia con tono più intenso di un chihuahua: questo non vuol dire che sia più buono del chihuahua; anzi né l’uno, né l’altro possono essere considerati buoni o cattivi perchè non sono esseri umani e i loro atti sono da considerare alla stregua delle intenzioni e degli atti del padrone.
    Quindi bontà e cattiveria sono categorie tipicamente umane.
    Così, peraltro, il problema non è risolto perchè occorre anche dire “cosa” è buono e cosa è cattivo e, stabilito il “cosa”, occorre calcolarne l’intensità: la teologalità o la cardinalità della bontà e la capitalità o la vegnalità della cattiveria, in primis, e la distanza da un origine calcolata con un’unità di misura predeterminata.
    Il bontometro (bont) ed il cattivometro (cat).
    Last but not least, occorre stabilire se queste misure possono essere unificate, e osservare se sono ipotizzabili valori inferiori allo zero.
    Secondo me sia il “bont” che il “cat” partono dallo zero assoluto.
    Ergo l’azione dell’uomo non può essere “non cattiva” o “non buona” per significare che rispettivamente è buona o cattiva.
    Caro Alfredo, i postulati non sono confutabili.
    Di loro si può dire se servono o non servono per avviare una ragionamento corretto.
    E, per ora non parlo di teorie!
    Posso andare avanti o debbo ancora tornare all’origine come nel gioco dell’oca?

  65. sara

    L’episodio di Caino e Abele Gen. 4, è stato scritto in un’ epoca in cui il decalogo già c’era.
    E’ una rilettura, come del resto anche altre parti del libro del Genesi, di situazioni umane problematiche. Ricca di tanti spunti interessanti. L’utilizzo che ne ha fatto Alfredo mi sembra improprio. Le questioni di cui vi siete occupati così diffusamente nei post successivi, non le ho lette con attenzione. Mi sono fermata invece un po’ di più sull’inizio, cioè sul post proposto da Enzo e mi ritorna l’immagine di Giobbe, uomo giusto che chiama Dio in giudizio, e non viene a patti col suo cuore, o con Dio che potrebbe essere qualcosa che ha a che fare col suo cuore, così come gli consigliano gli amici. Ma alla fine, quando Dio gli parla, dice ho capito, ok, non mi riesce di capire tutto, tutto insieme.

  66. Concordo – babbo natale non è dato.

    Però non stiamo rispondendo alla domanda. Into the Wild l’ho visto e m’è pure garbato, però il commento della mia amica risale ai tempi del lido a Venezia 65, epoca in cui Penn se non erro era a malapena uscito con La Promessa (altro filmetto neanche privo di interesse).
    Il punto rimane che assumere la paura come elemento che privi la “ribellione” (frustrata) della mia amica di significato è un arbitrio. La mia amica non teme il bosco; non teme il gatto (selvatico) che ci vive; non teme la natura. Sono entità autonome, che hanno proprie regole con cui deve convivere. La mia amica teme il suo fratello uomo, quello che le dice che siccome è nata allora quelle regole sono anche sue. Teme l’uomo che ha costruito la testuggine, nella quale non si sente sicura nè protetta. La mia amica ha paura che, una volta nel bosco, qualcuno venga a dirle che no, non può dormire lì, è demanio pubblico. Non può lavarsi nel fiume, l’acqua non è sicura. Non può vivere lì, non c’è ICI sul bosco. Alla mia amica non fa paura il bosco, non fa paura Dio, non fa paura ciò che è sin da che è nata; alla mia amica fa paura la testuggine che non la lascia uscire. Alla mia amica fa paura non avere una scelta. Le fa paura il fatto che la sua scelta sta tra il contestualizzare ciò che la circonda e sentirsi libera, o contestualizzare ciò che la circonda e sentirsi prigioniera. A prescindere da ciò che contestualizza, se ruba paga. Se compra paga l’IVA. Se vuole dormire le serve il permesso. E se decide che questo non le va bene, bè, non ha scelta alcuna. Non esiste un’alternativa di vita.

    E in fondo è quello che accade per i gatti. Il gatto domestico occidentale nasce, scruta e osserva, lecca, mangia, ruba una coccola e non dà nulla in cambio. E’ libero perchè nessuno gli mette un guinzaglio. Il gatto cinese vive come quello occidentale, solo che ogni tanto la carezza diventa una presa e il gatto finisce in pentola. E se i due gatti sono nati uguali, perchè uno vive e l’altro diventa sbobba?
    Magari è che la giustizia è soggettiva, mentre la libertà no. Scegliere la giustizia è un atto di volizione, mentre la libertà non è una scelta. Non è soggettiva, non nasce da te. La giustizia si esercita, la libertà si gode. La libertà o ti è data o te la sei presa – ma sceglierla non ti è bastato. Non si esaurisce nella scelta.

    (a proposito di gatti, c’è un bellissimo racconto di Gaiman nelle pagine di Sandman su questi misteriosi animali – non c’entra nulla ma era bello sottolinearlo)

    E a questo punto mi viene, non so perchè, da tornare al discorso del ragionamento dello sconfitto. E’ vero, il ragionamento della mia amica (che ripeto, non posso fare mio perchè non ne condivido le basi) è un ragionamento da sconfitto – ma la mia amica E’ sconfitta. E lo ammette – ammissione, che non significa accettazione. E forse la paura vera è quella dell’ammissione di poter essere sconfitti. Di non potere vedere le proprie ragioni prevalere. Perchè l’idea che contestualizzare, accettare o metabolizzare ciò che altri hanno scelto per noi sia più “vincente” è, almeno in parte, un’illusione. Io ho scelto di credere in quel sistema di scelte fatte da altri in cui sono nato, perchè per me è più valido dell’alternativa – ma questo non fa quelle scelte più mie o più vincenti.
    Un po’ come la libertà del gatto. Lui vive bene sapendo che può fare le fusa e avere coccole o indifferenza, e scegliendo che non gli importa. Però alla fine tu in qualunque momento potresti avvelenargli la pappa o tirargli il collo, e la sua libertà finirebbe in un soffio. Oliver è gioioso e felice perchè il suo padrone provvede a lui in ogni cosa; ma se Pibond non ci fosse, e Oliver fosse solo, inizierebbe a dover andare a caccia (lavorare), ad avere paura e quant’altro. Libertà derivata – concetto pericoloso. Bene allora mettere il sasso al primo posto – ma siamo di nuovo all’essere amorfo.

    E vi prego questa volta di mostrare indulgenza per uno che enuncia idee conversando con persone che hanno sull’argomento una preparazione esponenzialmente più approfondita. Mi mettete veramente in difficoltà a volte, ad esempio:

    “Last but not least, occorre stabilire se queste misure possono essere unificate, e osservare se sono ipotizzabili valori inferiori allo zero.
    Secondo me sia il “bont” che il “cat” partono dallo zero assoluto.
    Ergo l’azione dell’uomo non può essere “non cattiva” o “non buona” per significare che rispettivamente è buona o cattiva.”

    Se ho capito bene, ipotizzando che un certo atto è “Buono +5”, posso dire che un altro è “Cattivo -3” – ma non posso avere un “Buono -3” o un “Cattivo +7”. Il metro è uno, gli elementi omogenei e qualitativamente imprescindibili l’uno dall’altro. Ci ho capito qualcosa o brancolo nel buio?

  67. Grazie per la mole immensa di riflessioni che avete voluto aggiungere alle mie su un dramma personale che sto vivendo. I commenti di Alfredo sono sempre esilaranti, quelli di Piero sentenziosi, quelli di Sara teologici, quelli di Kara scientifici, quelli di Elkan umani, quelli del mendicante giuridici ecc. Hegel, nelle prime pagine della Fenomenologia dello spirito, diceva che “Il vero è l’intero”!

  68. e

    X il mendicante – a mio parere la risposta al dubbio che mi pare che poni e’ nelle tue stesse parole, quando parli della tua amica. Provo una dimostrazione semiformale. L’uomo sconfitto non è dato. L’uomo sconfitto è l’uomo morto. L’uomo “sconfitto” e quello che accetta l’astrazione sociale sopra/sotto (io/altro), elemento, appunto, che crea l’ordine sociale (polemicamente alcuni lo chiamerebbero caos). Nella mia filosofia la tua amica è libera sino a quando qualcuno non l’abbatterà o morira’ di altre cause.
    Infine.
    La paura degenera la libertà, la reifica. L’uomo impaurito improvvisa male la sua libertà. Proprio fra ieri e oggi ho aggiunto in nuce alla mia filosofia la riflessione se esista una demarcazione tra libertà ed improvvisazione. Parrebbe che l’improvvisazione sia il campo di attività della libertà.

    Se non mi sono spiegato, l’unica cosa che posso affermare, è che finchè non verrò messo a tacere, trasformerò le mie parole per giungere al tuo mondo, vivrò dunque di relazioni (“vivrai senza argomento”, direbbe la mia filosofia se avesse arroganza divina).

  69. e

    X il mendicante – scusa ho scritto male e con errori di grammatica e salti sintattici, pero’ la forma e’ quella che intendevo dare.

  70. e

    X Enzo, pare che i miei commenti non siano stati categorizzati. Il cinico sosterrebbe che stante la mia dichiarazione di non sussistenza di problemi filosofici, il filosofo vero non si possa occupare di chi la filosofia rifiuta.

    La mia filosofia, rinuncia per assunto il cinismo.

    La mia filosofia non è una filosofia di socializzazione, ma una filosofia di ponti. La mia proposta è di valutare questa mia autodefinizione (e’ sempre pericoloso autodefinirsi, per questo abbiamo bisogno degli altri!): “eugenio esprime commenti trasformativi”.

    un abbraccio

  71. ALFREDO

    x pibond (64)

    Mi riferivo, Pietro, ai valori che determinano il grado di libertà.

    Il Sasso (ancorché dipinto di gatto) è più libero dell’Erba gatta e questa, a sua volta, è più libera del Gatto, che è più libero di me.
    E se tu credi in Dio, allora Dio è il meno libero di tutti.

    La libertà dovrebbe essere inversamente proporzionale alla conoscenza e alla consapevolezza.

    Il motivo è semplice, più si sale sull’orizzone del conoscere e della consapevolezza, e più ci si rende conto di quanto sia piccolo, e quindi impotente, colui che conosce e che sa di conoscere.

    Il tal senso il Sasso, non può essere considerato propriamente “amorfo”, come dice ingiustamente il Mend (66), perché se è nulla la sua consapevolezza, allora neppure sa di essere distinguibile da tutta la materia dell’Universo e quindi sa (come lo sa l’Universo) di essere sempre e dappertutto.

    Adesso, per esempio, il sasso sa di essere nella mia mente, perché la mia mente è anche materiale, e quindi non può non includere il Sasso, che quindi sa, attraverso di me, che lo sto pensando e scrivendo e dipingendolo di gatto.

    Per contro, Dio non sarà mai libero, perché (secondo chi crede), dipende in tutto e per tutto dal suo Creato, in perenne ed insaziabile attesa di adorazione.

  72. ALFREDO

    x Mendicante (66)

    Mi piace questa tua spiritosa domanda:

    “Il gatto cinese vive come quello occidentale, solo che ogni tanto la carezza diventa una presa e il gatto finisce in pentola. E se i due gatti sono nati uguali, perchè uno vive e l’altro diventa sbobba?”

    E la risposta, come spesso capita, è nella domanda stessa… che ti sei posto tu, immedesimandoti anima e corpo nei soggetti di cui hai fatto il confronto.

    Tu sei al di sopra degli eventi, tu sei quello che distingue il bene dal male e che sente il forte impulso ad intervenire in difesa del figlio picchiato da padre, o per consolare un’amica che ha paura nel bosco di sera; è questo il tuo spirito di libertà, Med, ricordi?

    Non sei tu quel gatto che vive beato di sicure carezze (fino a quando non verrà divorato da larve della mosca carnaria) o quello che finisce a tradimento in pentola (per diventar carne di un cristiano cinese, magari destinata a risorgere alla fine dei tempi).

    E concludo con una bella metafora di Eugenio:
    “Non si puo’ vivere protetti dalla testuggine che mantiene in piedi l’ordine sociale, respingendo di scudo la paura, e al contempo piagnucolare per la libertà.”

  73. ALFREDO

    X sara (65)

    Quando precisi che “l’episodio di Caino e Abele Gen. 4, è stato scritto in
    un’epoca in cui il decalogo già c’era”, riconosci implicitamente che ciò che sarebbe avvenuto nel passato, non può essere giudicato secondo una legge futura.

    Dalla Bibbia si rileva che al tempo in cui Caino avrebbe ucciso Abele erano solo in tre al mondo: Caino, Abele e Dio.
    Che senso avrebbe l’applicazione del decalogo a cui tu alludi, che sarebbe stato dettato a Mosé, millenni, o forse milioni di anni dopo?

    Al tempo di Caino, l’unica legge in vigore, o quantomeno non ancora esplicitamente abrogata, era quella che Dio avrebbe imposto ai loro genitori: “non toccate né mangiate le mele di quell’albero”.

    Non è scritto nella Bibbia che qualcuno abbia ancora mangiato o semplicemente toccato quelle mele dopo il famoso “furto” di Adamo ed Eva, e quindi Caino è da considerarsi innocente.

    Per contro deve ritenersi ingiusta sia la sentenza che la punizione divina inflitta a Caino: Caino era innocente!

    Buona giornata, Sara.

  74. sara

    Gen. 4 fra le tante cose che dice, tenta di entrare nelle relazione umana che è caratterizzata dalla violenza, l’andare all’inizio ( adamo ed eva, caino e abele) è un po’ come l’andare a ciò che è l’uomo costitutivamente.
    A proposito del testo biblico a cui fai riferimento parlando di Adamo ed Eva: le parole di Dio, non sono quelle che tu dici.
    “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché quando tu ne mangiassi certamente moriresti” Gen 2,16 s.

    Tornando ai due fratelli di Gen 4, il testo ci suggerisce l’interdipendenza di tutto ciò che esiste, qui in particolare quella fra gli uomini. “Dov’ è tuo fratello?” chiede Dio a Caino. Caino rappresenta simbolicamente l’uomo, un aspetto dell’uomo.
    Non so se sono stata chiara

  75. ALFREDO

    Ciao Sara.

    Quando si vara una legge, normalmente si dovrebbe prevedere anche la relativa sanzione, penale o amministrativa.
    Se Dio aveva stabilito la pena di morte per chi avesse osato mangiare quei frutti della conoscenza proibita, perché poi non ha fulminato sul colpo quei due avidi ladruncoli, invece di allontanarli con un semplice foglio di via?

    Inoltre, vista la sua indiscussa potenza, avrebbe potuto almeno recintare quell’albero così prezioso con una fitta rete metallica e filo spinato e farlo poi vigilare a vista 24 ore su 24 da uno dei suoi tanti fidati angeli, anziché lasciarlo incustodito e di facile accesso a tutti.
    Non si può negare che in quel reato commesso da Adamo ed Eva, vi sia stata anche concorrenza di colpa per istigazione al furto.

    Nel decalogo, invece, Dio, oltre ad incidere sulle tavole di pietra obblighi e divieti, avrebbe dovuto dettare a Mosé anche le relative sanzioni per eventuali inadempimenti o violazioni.

    Non è che forse Mosè sia sceso dal monte Sinai un pò troppo frettolosamente, senza aspettare il resto della normativa che Dio avrebbe dovuto scolpire sulle tavole di pietra con il suo potente e preciso raggio laser?…

    Ci sono troppe incongruenze, Sara, troppe contraddizioni.
    Non credo che al giorno d’oggi qualcuno avrebbe potuto scrivere un libro del genere e poi cercare di farlo passare per verità universale, e pretendere anche di essere preso sul serio.

    Sono sempre più convinto che sia stato qualche furbacchione a creare Dio a sua immagine e somiglianza, e non viceversa.

  76. Caro Alfredo, evidentemente, secondo te, Dio aveva un altro progetto che quello di piantare un albero dal frutto proibito.
    ————–
    Cara Sara, sto maturando l’idea che Alfredo non esista. E’ una brutta copia di Adamo che, con la sua amata sposa, sta girando come un allocco intorno all’albero dei pomi facendo sberleffi al serpente dicendogli:

    Guarda che il tuo padrone non ci frega,
    non ci frega;
    noi stiamo bene in questo Paradiso,
    in questo Paradiso!!!

    Oltre a questo, però non è uso a gesti volgari e non rispettosi dell’altrui pensiero; è, come giustamente sostiene Vincenzo,.esilarante!
    ————–
    Sara, a mio parere Alfredo con la sua Eva è il protogirotondista!!
    ————–
    A scanso di ogni equivoco, vorrei chiarire che le mie convinzioni religiose non sono nate in seminario.
    ————–
    Mio padre, nato a Ginevra da padre romagnolo e da madre del Oberland bernese,
    fu avviato alla religione cristiana calvinista. Mia madre, belga di origine Liegina, nacque in Ucraina fu battezzata cristiana cattolica ma non fu mai praticante.
    Le mie scelte religiose sono state sempre libere e orientate al cattolicesimo, nonostante la non comune esperienza religiosa vissuta in una famiglia votata all’indifferenza religiosa.
    Una cosa debbo dire: sin da bimbo, avendo avuto anche amici di religione ebraica, ho coltivato l’aspetto religioso della vita con molta ponderazione. Successe anche di trovarmi in polemica con un gesuita che non voleva rispettare la scelta di persone non vedenti da accompagnare nella cabina di voto (Dettagli a richiesta). Cessai dall’andare a messa per qualche anno.
    Ora aspetto di meritarmi un contraddittorio più qualificato di chi insiste nel farmi credere, con motivazioni del tutto inconsistenti, cose diverse di quelle alle quali profondamente credo. La dialettica è bella solo se è capace di dire qualcosa.
    ————–
    Il mio precipuo interesse è quello di consolidare le basi filosofiche (non religiose) di certe idee nate in gioventù e lasciate in sospeso sino ad una decina di anni fa quando decisi di riprenderle e parlarne nel mio sito. Le proposi sotto forma di “Argomenti” ai quali feci precedere una paginetta che riassume le mie intenzioni, pubblicata l’8 settembre 2002 e aggiornata in più riprese sino ad oggi.
    Ecco l parte più significativa:
    […] Non ritengo interessante sapere come gli antichi valutavano il loro passato. Ritengo invece stimolante considerare gli eventi del passato nel loro evolversi verso l’avvenire, anche oltre il presente.
    Mi rivolgo ai pensatori che stimo essere adatti a questa rappresentazione: principalmente mi riferisco al pensiero orientato alla fenomenologia nel senso proposto da Husserl che, in sintesi è espresso con queste parole:
    “La nostra conoscenza inizia fondamentalmente dall’esperienza sensoriale, e quindi dei fatti. Le nostre percezioni della realtà ci fanno conoscere gli oggetti reali che ci circondano, ma una volta acquisite le informazioni è la nostra coscienza che assumerà il compito di analizzarle”.
    Il mio sguardo è sostanzialmente rivolto verso i fatti di epoche passate che in qualche modo siano riconducibili al tempo presente e che esamino attraverso la metodologia usata in econometria per l’individuazione delle perturbazioni nelle serie storiche di dati di lungo momento.
    Questa metodologia fu introdotta dal Prof. Giovanni Demaria che, al tempo dei miei studi universitari, reggeva la cattedra di Economia Politica presso l’Università Bocconi di Milano e ne venni a conoscenza per averla applicata io stesso nello scrivere, in seminario con un compagno di studi, una tesina riguardante la Francia negli anni dal 1688 al 1697, anni nei quali fu combattuta la guerra della Lega di Augusta.
    Il ricordo di questa ricerca mi ha sempre stimolato la curiosità di rovesciare il campo di osservazione. […]
    Per il seguito, cliccare qui
    http://www.pibond.it/argomenti/eventi_di_ieri_visti_oggi/eventi_di_ieri_visti_oggi.htm
    —————-

  77. sara

    Caro Alfredo, che dirti!
    Mi hai fatto tornare ai primi anni in cui frequentando corsi di esegesi biblica, durante i quali capitava addirittura di “correggere” alcune traduzioni della Bibbia di Gerusalemme perché mal tradotte, ho passato un lungo periodo letteralmente frastornata. Tutto quello, o quasi, che avevo ricevuto dalla catechesi mi si sbriciolava nelle mani. Nello stesso tempo, faticosamente prendeva corpo un modo diverso di accostarsi al testo biblico, molto più impegnativo, provocatorio e commovente.
    Riesco a capire quello che dici, ma mi mette tristezza vederti così infognato in questioni poco serie.
    I tanti uomini che hanno raccontato la loro esperienza di Dio nei tanti libri che compongono la Bibbia, non avevano intenzione di costringere nessuno a credere. Semplicemente raccontare, come fai tu quando scrivi poesie? Chissà, forse sì. A me ritorna in continuazione che la bibbia dalle prime parole, che non sono le prime ad essere state scritte, alle ultime, che non sono le ultime ad essere state scritte, mi interpella profondamente, mi provoca, non mi lascia tranquilla. Negli anni che ho dedicato allo studio di queste cose mi sono sentita libera di fronte alla scelta, ateismo, agnosticismo, fede. E forse un po’ tutte e tre convivono in me. Non senza fatica e conflitti. Non mi pare sia ragionevole dire che la Bibbia è lo strumento di cui si è servito qualche furbacchione per plagiarci.
    Il problema che tu fai emergere, forse nasce anche dal fatto che la Chiesa cattolica romana rispetto a quella protestante, ha iniziato molto tardi, da poco, a dare la bibbia in mano alla gente. L’ha in qualche modo gestita lei. Ricordo che, quando frequentavo il seminario, (ho studiato con i seminaristi), mi avevano raccontato che fino a poco tempo prima era proibito anche per loro,leggere il Cantico dei Cantici (non è il Cantico delle Creature di Francesco). Prova a leggerlo.
    E cosa mi dici della presenza nella Bibbia canonica del libro del Qoelet, un personaggio che distrugge la fede concepita in un certo modo, quanto meno mostra con ironia quanto una cosa sembra valere quantol’altra, un po’ come fai tu, ad esempio quando dice che essere giusti o non esserlo è la stessa cosa, dal momento che un’unica sorte è riservata ad entrambi, e potrei continuare chissà per quanto tempo. E poi come faccio a dire che i vangeli siano lì belli belli accordati l’uno all’altro per far creder i creduloni. Con tutti i problemi che creano, sia da un punto di vista esegetico, ma soprattutto umanamente, non lasciano molto tranquilli. No?
    Adesso devo andare
    Un saluto
    Sara

  78. ALFREDO

    x pibond (76)

    Quando tu inizi così il tuo discorso:

    “Caro Alfredo, evidentemente, secondo te, Dio aveva un altro progetto che quello di piantare un albero dal frutto proibito… ”
    poi non puoi proseguirlo tentando con ogni mezzo di dimostrare l’esistenza di Dio, avendone dato già per scontata la sua esistenza”

    Anch’io credevo ciecamente alla Befana fino all’età di circa 5 anni, fino a quando quel “fetente” di Massimo (un mio amichetto) mi ha detto che la befana era semplicemente mia madre, facendomi toccare con mano, la sera prima, quei giocattoli nascosti nell’armadio che avrei ricevuto in dono il giorno dopo.

    Ma tu, anche di fronte alla più palese evidenza e nonostante la tua veneranda età, continui irragionevolmente a sostenere la tua fede di carta!

    Lo fai per avere i tuoi giocattoli che chiami “paradiso” e “vita eterna”, vero?
    Beh, se è questo che vuoi, non temere, sarai accontentato 🙂

  79. ALFREDO

    x Sara (77)

    Ho letto il tuo lungo messaggio che sembra quasi compatire il mio modo di vedere le cose.
    Cosa dirti? Anch’io fino all’età del liceo era un cattolico praticante, pensa che non ho mai saltato una volta la messa la domenica e le feste comandate, e poi, molto spesso anche la confessione, comunione, ecc.
    E credimi, ero perfettamente convinto, fin dall’infanzia, che quella era la verità.
    Poi, durante il servizio militare (quello obbligatorio), quasi per caso è iniziata la conversione, un lungo e faticoso processo nel quale ho dovuto rimuovere e disimparare tutto ciò che avevo amato e che mi era stato insegnato, e quindi attinente ai cosiddetti libri sacri.

    Non mi piaceva più la fede di carta, avevo capito che era solo carta stampata da uomini come me, non dico peggiori o migliori, ma erano uomini e donne, tutti appartenenti al genere umano.
    Ebbene, mi sono detto, voglio essere sincero, sincero con me stesso!

    Ho una visione del mondo limitata?
    Bene, allora mi attengo a ciò che riusco a percepire e prendo atto che Dio non è percepibile con questo corpo e questa mente.

    Ho la facoltà di fantasticare?
    Bene allora uso la fantasia per credere che Dio possa esistere nel mondo del fantastico e che possa convivere insieme alla Fata Turchina, allo Gnomo Pisolo e al Folletto Vorwerk… 🙂

    Buona giornata, Sara.

  80. sara

    Buona giornata anche a te
    All’età delle superiori io non ero una cattolica praticante. Ho scelto di studiare teologia in seguito a dei fatti che mi sono accaduti e alle riflessioni che li hanno accompagnati.
    Non è che compatisco il tuo modo di vedere le cose, forse mi mette tristezza che tu abbia della bibbia una visione, a mio parere distorta. Tutto qua.
    Un saluto

  81. ALFREDO

    Ci sono milioni, direi miliardi di libri in giro, antichi e moderni: tutti scritti da umani.
    Perché mai dovrei fossilizzarmi proprio sulla Bibbia?

    La tua tristezza su chi non capisce la Bibbia o su chi la apprezza come si deve, pare riguardi soltanto te, non me.

    E scommetto che se cerchi bene, nella Bibbia troverai sicuramente qualche passo o qualche versetto che ti esorta a non essere triste, in occasioni come queste.

    Ciao Sara 🙂

  82. sara

    Non capisco cosa vuoi dire con queste parole:
    “La tua tristezza su chi non capisce la Bibbia o su chi la apprezza come si deve, pare riguardi soltanto te, non me”
    E poi dai, mi hanno tolto un dente del giudizio che era quasi completamente nascosto, ieri sera, adesso sono gonfia e un po’ dolorante, concedimi di essere un po’ triste!

  83. ALFREDO

    Non capisco la Bibbia ma ne apprezzo molto la sua voluminosità: mi fa da fermalibro.

    Non mi solleva, invece, il fatto che tu possa sentirti triste per altri motivi.
    Non è cosa poco rendersi conto che si è già con un dente nella tomba.

    A proposito, dove pensi quel tuo dente del giudizio ti stia aspettando, all’inferno, in purgatorio, oppure in paradiso?

  84. Ahi, cara Sara, ti sei messa nei guai. Citare il “giudizio” nel contesto del tema qui trattato, correlato al dolore per l’estrazione del relativo dente, potrebbe avere un effetto dirompente sulle passioni ed i sentimenti di Alfredo.
    Per distogliere Alfredo dalle sue insane idee, potresti proporgli di aggiungere un suo libro alla Bibbia. Il guaio è che il corpo dei libri della Bibbia è fermo a 34° Daniele (per gli ebrei) e al 46° Maccabei, per i Cristiani; ebrei e cristiani non hanno più ammesso nel rispettivo canone libri dopo il 34° ed il 46°.
    Hai scritto la cosa giusta che fa emergere l’opposta esperienza religiosa che Alfredo ed io abbiamo compiuto. La ricopio qui.
    “Il problema che tu fai emergere, forse nasce anche dal fatto che la Chiesa cattolica romana rispetto a quella protestante, ha iniziato molto tardi, da poco, a dare la bibbia in mano alla gente. L’ha in qualche modo gestita lei. Ricordo che, quando frequentavo il seminario, (ho studiato con i seminaristi), mi avevano raccontato che fino a poco tempo prima era proibito anche per loro,leggere il Cantico dei Cantici (non è il Cantico delle Creature di Francesco). Prova a leggerlo”.
    Alfredo cresce in una cultura religiosa tradizionale radicata nel culto formale, io cresco in una cultura protestante e vivo in un paese fondamentalmente cattolico.
    Vorrei suggerire ad Alfredo che il vangelo non va letto in Famiglia Cristiana. Legga invece l’interessante libro Jean Louis Ska “Il libro sigillato e il libro aperto” (EDB 2005 Bologna), dal quale ho tratto l’informazione sul numero dei libri della bibbia.
    Cara Sara, via il dente, via il dolore.

  85. sara

    sto ascoltando: “l`animale uomo” con Michele Luzzato e Salvatore Natoli.

    http://www.radio.rai.it/radio3/podcast/lista.cfm?id=491

    e ad esso vi rimando. Alfredo, il dente adesso è dal dentista che l’ha voluto tenere.

  86. ALFREDO

    Fai attenzione a come vivi, Sara, perché se fino ad adesso sei stata birbacciona, non puoi di punto in bianco diventare un angioletto come ti vorrebbe consigliare Pibond.
    Rischieresti di resuscitare con il dente del giudizio all’inferno e con tutto il resto in paradiso.

    Io, per esempio, non so più cosa fare, perché mi hanno estratto ben cinque dei miei denti quando ero ancora un angioletto praticante.

    Spero soltanto che in paradiso siano attrezzati per realizzare un protesi come questa: un ponte speciale fatto di resina ed oro, che possa collegare la mia persona che sta all’inferno, con quei pochi denti meritevoli di paradiso…

  87. ALFREDO

    X Pibond.

    Ho seguito il tuo consiglio, Pietro, e mi sono andato subito a cercare si Internet “il libro sigillato e il libro aperto” che hai suggerito.
    Ho letto con attenzione anche la recensione.

    Mi spiace dovertelo dire ma non fa proprio al caso mio: un tomo da 35 euro mi pare un pò caro come fermalibro…

    Comunque ti ringrazio della premura che mostri sempre nei miei confronti. 🙂

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