IL GIURAMENTO IPPOCRATICO IERI E OGGI

Spesso lo storico ricostruisce una situazione a partire da ciò che i protagonisti hanno raccontato. Ad esempio, il medico ippocratico come viene descritto nel Corpus Ippocraticum. Ne emerge un’immagine decisamente distorta. Anche tutti i medici contemporanei devono pronunciare il celebre giuramento ippocratico, ma non per questo nella pratica lo seguono, come purtroppo sappiamo. Ad esempio, dovrebbero curare gratuitamente gli indigenti con lo stesso impegno con il quale curano a pagamento i ricchi! Non credo che i medici del IV secolo a.C. fossero molto migliori dei nostri contemporanei. E’ però certo che chi ha introdotto per primo quelle regole è portatore di un merito immortale, perché da allora in poi chi le viola perlomemo sa che sta commettendo qualcosa che la comunità disapprova.

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I GABBATI DEL CENTRODESTRA

Ho passato alcuni giorni con una simpatica famiglia del Nord, i cui membri, tutti, hanno votato a destra, nonostante il fatto che si tratta di persone che hanno un reddito medio-basso, per cui saranno senz’altro svantaggiate dal governo Berlusconi rispetto a quanto sarebbe potuto succedere con un eventuale governo Veltroni. Questo è un esempio di quella che è stata chiamata la “questione settentrionale”. Chiunque sappia un po’ di economia e conosca un poco la situazione internazionale ha chiaro che, per quanto i governi di centro-sinistra siano di certo un po’ inetti, il Paese Italia nel suo complesso perde meno – per non dire guadagna di più – da un governo dell’attuale centro-sinistra rispetto all’attuale centro-destra. Questo non è un fatto assoluto, poiché una vera destra, cioè liberale come la Tatcher, avrebbe potutto essere nel complesso un beneficio, in quanto capace di liberare almeno in parte la nostra economia dalla morsa neocorporativa che la attanaglia. Roba tipo le famose e non riuscite “lenzuolate” di Bersani. Posso però capire che i miei amici orefici o dentisti votino a destra, perché ne hanno un chiaro tornaconto economico. Più difficile è comprendere come mai persone laboriose e per bene con pochi soldi in tasca votino Berlusconi, che senz’altro nei prossimi anni le danneggerà ulteriormente riuspetto a quanto ha già fatto nei suoi precedenti governi. Probabilmente non è una questione di istruzione. Mio suocero, che credo abbia la terza elementare, quando ascolta Berlusconi che afferma di togliere l’ICI sulla prima casa, commenta laconico che, dopo averla tolta o metterà un’altra tassa o toglierà anche un servizio gratuito ai cittadini. Come mai tanta gente si fa gabbare in questo modo straordinario? Credo che giochino almeno due elementi: in primo luogo in questi luoghi di forte e diffusa imprenditoria individuale, nei quali comunque molti hanno raggiunto un relativo benessere, quando si guarda il ricco non si pensa che non è giusto che egli stia molto meglio, ma si pensa: “beh, potrei forse riuscirci anche io”. Che è un’idea tutt’altro che dannosa, rispetto all’altra piena di risentimento, anche se un po’ troppo individualista. Da noi in Emilia una tradizione di cooperative, di scuole pubbliche dell’infanzia ecc. ha creato un tessuto sociale decisamente più coeso. In secondo luogo, molti nel Centrosinistra hanno sottovalutato la presenza ingombrante di Mediaset che lavora sull’immaginario delle persone quotidianamente scavando nel loro inconscio e modulando la loro percezione del presente e del futuro. Possibile che ben tre governi di centrosinistra non hanno eliminato il monopolio Rai e Mediaset, che è un grave attentato alla fragile democrazia italiana? Questo errore funesto non me lo so proprio spiegare.

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NON SAPERE DI ESSERE CIECHI

Nel nostro campo visivo c’è un punto cieco che corrisponde al luogo dove si innesta il nervo ottico, che veicola l’informazione raccolta dalla retina trasmettendola poi alla corteccia visiva attraverso il genicolato laterale. Ciò nonostante noi non ce ne accorgiamo, a meno che non spostiamo opportunamente una piccola macchia colorata su sfondo bianco in modo da centrare il punto cieco della retina, cosicché quando la macchia entra nella zona cieca scompare e vediamo il foglio come se fosse tutto bianco. Ovvero succede che non ci rendiamo conto di essere ciechi in quel punto, ma “estrapoliamo” quello che sta intorno completandolo ommogeneamente. Questo è un elemento tragico della condizione umana, poiché non solo siamo ciechi in quel punto della retina, ma siamo anche inconsapevoli della nostra cecità. In generale, purtroppo, ci capita spesso che non solo non comprendiamo qualcosa del mondo circostante, sia umano che materiale, ma neanche sappiamo di non sapere, cioè abbiamo come la sensazione che stiamo capendo tutto ciò che c’è da capire. Forse per questo filosofi come Leibniz hanno sostenuto che ognuno di noi è come una monade senza porte né finestre. Comunque resta il fatto che non è del tutto impossibile rendersi conto che stiamo compiendo un’estrapolazione semplificatrice, come nel caso del punto cieco del campo visivo. Innanzitutto dobbiamo stare sempre all’erta e diffidare della nostra sensazione di sicurezza. Non troppo, certo, perché altrimenti la nostra vita diventerebbe impossibile. Inoltre in certe situazioni particolari, alcuni indizi ci possono suggerire la nostra incapacità di capire o di vedere.

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IL PROCESSO A DIO

Ci sono tante versioni della straordinaria storia di Giobbe, dall’omonimo e bellissimo romanzo di Joseph Roth alla messa in prosa di Giorgio Fano del testo biblico nell’appendice al suo saggio “Teosofia orientake e filosofia greca”. In particolare ce ne è una che mi ha sempre divertito molto. La usavo spesso a scuola per introdurre le riforme illuministe nella seconda metà del Settecento, in particolare l’Editto di Tolleranza di Giuseppe II nell’Impero austroungarico del 1781. A Lisenk viveva un certo Mojshe Wolf che aveva una figlia vogliosa di sposarsi, ma che non riusciva a trovare i 400 talleri che l’imperatore chiedeva agli ebrei per poter celebrare un matrimonio. Allora Mojshe si rivolse a Rabbi Reb Melech e chiese di poter accusare il Signore. il Rabbi, dapprima perplesso, si rese poi conto, consultando le Scritture, che il processo era motivato. Riunì dunque il tribunale e ascoltò l’accusatore. Non c’era però bisogno di ascoltare Dio, che si era già espresso nelle Scritture. Il Rabbi chiese poi ai due di abbandonare l’aula, perché il Consiglio doveva dibattere e giudicare. Mojshe uscì, mentre Dio, essendo onnipresente non poteva allontanarsi, e questo fu per lui un’aggravante. Dopo una disamina meticolosa, il tribunale – il cui giudizio è inappellabile – diede ragione a Mojshe e impose al Signore di tutti i mondi di accogliere benevolmente le umilissime richieste di Mojshe. In effetti tre giorni dopo la memorabile sentenza Giuseppe II emanò l’Editto di Tolleranza che aboliva la tassa dei matrimoni per gli ebrei e molte altre vessazioni. (Da Jiri Langer, “Le nove porte”, Adelphi, pp. 123ss.)

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L’ANORESSIA

Quando insegnavo a scuola mi capitarono alcuni casi di anoressia, per cui decisi di informarmi e trovai il bellissimo “La gabbia d’oro” di Hilde Bruch. Il libro racconta una miriade di casi con chiarezza e incisività, in modo che il lettore, senza che la Bruch calchi troppo sull’aspetto teorico, si costruisce una sorta di modello di spiegazione dell’eziologia dell’anoressia, malattia gravissima che colpisce una percentuale molto alta di adolescenti, soprattutto donne, nelle società ricche. Il modello che mi sono fatto io è il seguente: Carla va bene a scuola, è molto obbedinete e viene da una famiglia benestante che rispetta  molto l’impegno e il sacrificio di sé. Carla a 15 anni si trova con qualche chilo di troppo, poca roba, ma tanto da sentirsi non del tutto in forma. Carla matura nello stesso periodo una forte sensazione che il mondo intorno a lei non le piace e non è possibile modificarlo. Carla inizia una dieta con il solito impegno e perseveranza. Si rende conto che modificare se stessa è molto più facile che modificare il mondo e acquisisce piacere a non mangiare. Ormai troppo magra tutti le dicono che deve smettere, ma è troppo tardi, il sistema nervoso di Carla si è adattato a questo piacere nel modificare con successo il proprio corpo. Carla non vede la sua magrezza e non riesce più a mangiare. Si è ammalata di anoressia. E’ chiaro che questo è un modello e che ogni caso è diverso, ma a me questo modo di leggere le cose mi ha aiutato qualche volta a capire che cosa stava succedendo. Occorre intervenire subito e rivolgersi a un centro specializzato.

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BONCINELLI E LA MECCANICA QUANTISTICA

Qualche tempo fa ho seguito un dibattito a cui partecipava Edoardo Boncinelli, biologo molecolare, oggi divulgatore di neurologia e teoria dell’evoluzione. Si discuteva del fatto che la rappresentazione microfisica della meccanica quantistica è fortemente controintuitiva. E allora egli spiegò questo fatto affermando che le nostre capacità di rappresentare adeguatamente il mondo esterno si sono evolute potenziandosi relativamente alle medie dimensioni, perché per la nostra sopravvivenza quello che succede a livello atomico e subatomico non è così importante. Questo argomento ha notevole forza persuasiva, ma contiene alcune discutibili premesse nascoste. Innanzitutto non è assolutamente detto che le strutture che valgono alle dimensioni medie debbano essere intuitivamente così diverse da quelle che valgono alle dimensioni dell’Angstrom. Che ci siano effetti fisici diversi è ragonevole, ma perchè la struttura stessa del mondo dovrebbe essere così differente? In secondo luogo Boncinelli commette l’errore che Gould e Lewontin hanno chiamato “adattazionismo”, cioè quello di considerare le strutture biologiche sempre come il risultato di un adattamento all’ambiente. Invece Darwin e la biologia molecolare ci hanno insegnato che le strutture biologiche nascono casualmente e poi l’ambiente conserva soprattutto quelle che sono più utili alla sopravvivenza, per cui molte strutture biologiche possono essere inutili o exattate, cioè adibite a un’altra funzione. Senza contare la selezione sessuale rispetto alla quale l’ambiente ha una rilevanza minima. In conclusione ho la sensazione che non ci siano scuse per i fisici teorici: la meccanica quantistica è ancora una teoria incompleta, come diceva Einstein già nel 1935.

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QUANTE INTELLIGENZE?

Con il suo celebre libro “Formae mentis” Gardner ha lanciato la teoria delle intelligenze multiple, secondo la quale non esisterebbe un solo tipo di intelligenza, ma diversi e ognuno può eccellere in una e scarseggiara nell’altra. I cognitivisti di stretta osservanza hanno obbiettato che se l’intelligenza umana è rappresentabile mediante una macchina di Turing – ipotesi tutt’altro che peregrina – l’intelligenza è una sola, in quanto è riconducibile a quell’unico modello del calcolatore umano introdotto da Alan Turing nel 1936. Tuttavia occorre dire che siamo ben lontani dal conoscere la macchina di Turing che riproduce la nostra intelligenza e che per rappresentare le nostre capacità intellettuali dobbiamo basarci su euristiche e approssimazioni, che sono profondamente diverse a seconda del compito che dobbiamo realizzare. Per cui, anche se ogni lavoro intellettuale è rappresentabile mediante modelli computazionali, occorre dire che le intelligenze possono essere diverse, in quanto si riferiscono a subroutine della nostra mente molto diverse fra loro.

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CONFUTAZIONE AD HOMINEM

E’ comune ascoltare o leggere qualcuno che per confutare un’opinione, invece di portare argomenti validi contro di essa, scredita chi la ha sostenuta. E’ vero che se chi la sostiene è noto per le sue opinioni sballate, il fatto che sia proprio lui a dirlo potrebbe essere un indizio che la questione va esaminata con attenzione, ma non è certo motivo sufficiente per scartare un punto di vista.

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IL PLATONISMO NASCOSTO

Un modo di ragionare filosofico che mi lascia molto perplesso è il seguente: “Tal dei Tali dice che (ad esempio) il sacro è questo e quello; ma non è vero, perché invece il sacro è questo e quest’altro.” Sembra quasi che da qualche parte ci sia l’entità platonica “il sacro” e che Tal dei tali abbia sbagliato a descriverla. Non sarebbe meglio procedere in un’altra maniera, ad esempio dicendo: “Definisco il sacro così e così” e poi mostrare che quella definizione è utile e può essere messa in relazione con altri concetti e ha rilevanza empirica ecc. So bene, come già Kant nella Methodenlehre aveva notato, che la filosofia non è la matematica, per cui le definizioni non possono essere esatte, tuttavia meglio una definizione imprecisa, che aiuta il lettore a orientarsi, piuttosto che una presunta entità platonica che chi scrive saprebbe meglio di tutti come sarebbe fatta.

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SCARTARE UN’OPINIONE CHE NON PIACE

C’è un tipo di argomentazione che mi capita di trovare spesso in testi filosofici e che mi sembra poco convincente. Si inizia il discorso con frasi del tipo “Oggi è molto diffusa l’opinione che” oppure “Dilaga nei nostri tempi il tal punto di vista” ecc. Poi si procede affermando, senza spiegare perché, che quella opinione e quel punto di vista sono sbagliati e che quindi occorre un’altra filosofia. Mi sto riferendo ad argomentazioni di carattere conoscitivo, cioè a risposte a domande del tipo “che cosa è la mente umana?” o “quali sono le motivazioni che spingono i Kamikaze?”. Il punto sta nel fatto che non è sufficiente affermare che un’affermazione è sbagliata, occorre dimostrarlo, o perlomeno portare argomenti contro di essa. Il presupposto implicito di tali discorsi è che quell’opinione non piace e che quindi va respinta, ma certo non è un buon modo di lavorare. Chi fa così alimenta l’opinione di quelli che sostengono che la filosofia ha soprattutto uno scopo edificante di far credere alle persone in un mondo più bello che non esiste.

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L’EXATTAMENTO E IL COSIDDETTO MALE

E’ molto interessante il concetto di “exattamento” che è stato introdotto da Gould nella teoria dell’evoluzione, cioè il fatto che in molti casi salti notevoli dal punto di vista dell’adattamento derivano dall’utilizzo diverso di strutture biologiche che hanno perso nel frattempo la loro funzione originaria. Così, ad esempio, gli arti superiori nella postura eretta non servono più per la locomozione e possono specializzarsi per la prensione e la manipolazione degli oggetti. Fenomeni come questo ci fanno capire quanto sia stato frastagliato e non lineare il processo che ha portato a homo sapiens. Tuttavia, al riguardo mi viene in mente anche un fenomeno che, per certi versi, è il contrario. Nel bel libro di Lorenz dal titolo “Das sogenannte Boese”, il cosiddetto male, tradotto malamente in italiano con “L’aggressività”, si nota come l’aggressività, appunto, che ha pagato dal punto di vista adattativo per milioni di anni, oggi, nell’uomo, è spesso concausa di danni irreparabili, come le guerre. In generale, mi sembra che si possa dire che spesso il male è appunto qualcosa di questo genere, cioè una struttura o un’istituzione o anche un’abitudine nata per una certa funzione, che non serve più e continua a funzionare provocando solo dei pasticci. Sì pensi, ad esempio, alla marea di enti inutili che caratterizza la pubblica amministrazione in Italia.

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L’ESTETICA ROMANTICA DI “NEVERLAND”

Il regista Marc Forster, raccontando in “Neverland. Un sogno per la vita” (2004) la storia romanzata della creazione dell’opera teatrale “Peter Pan, il ragazzo che non voleva crescere”, dalla quale lo scrittore Barrie ha poi tratto il celebre romanzo “Peter e Wendy”[1], ci ha regalato un momento di divertimento. Strepitosa la recitazione di Johnny Depp, che interpreta lo scrittore, senza però “ribadire” il quasi-nanismo dell’originale. Incisiva la breve partecipazione di Dustin Hoffman, che fa la parte dell’impresario preoccupato per l’insuccesso della messa in scena. Bravissima Julie Christie nelle vesti della madre (stereotipo vittoriano) della vedova con i quattro bambini – nella realtà furono prima tre a cui si aggiunsero altri due – che giocando con Barrie gli forniscono l’occasione per scrivere la piéce. Di fatto il marito nel 1904, anno in cui uscì “Peter Pan” era ancora vivo e geloso di Barrie; morirà nel 1907, dopo essersi reso conto della lealtà dello scrittore, che venne anche ingiustamente additato dalla pubblica opinione come pedofilo. La madre dei bambini, interpretata con efficacia da Kate Winslett, morirà solo nel 1911. E Barrie si prenderà cura dei ragazzi fino alla loro maturità, che però fu tragica per molti di loro. Anche per Peter, che morirà alcolizzato e suicida nel 1960.

Barrie fu un prolifico scrittore di quel periodo (1860-1937), già abbastanza noto al tempo di Peter Pan, che, dopo il successo mondiale del romanzo, divenne addirittura baronetto (1913). Peter Pan acquisì ulteriore notorietà con il cartone animato della Walt Disney del 1954.

Detto questo, il film di Forster ha un altro pregio, cioè quello che ci presenta una splendida formulazione di quella che potremmo chiamare “concezione romantica della creazione artistica”. Già Hegel, nelle sue Lezioni di estetica, nota che l’artista deve essere dotato di grande memoria – quest’ultima, infatti, fornisce il materiale su cui costruire l’opera – e inoltre deve conoscere la vita, cioè deve avere avuto esperienze che lo abbiano arricchito. Dilthey, nel celebre saggio su Goethe, Poesia e verità, formulerà in modo ancor più chiaro quella che potremmo chiamare “la poetica dell’esperienza vissuta”, dove con il termine “esperienza vissuta” traduciamo l’espressione tedesca “Erlebnis”. Secondo questa concezione la grande arte nasce solo dalla vita reale rielaborata. Così, ad esempio, Barrie inventa il celebre concetto di make-believe (fare finta), che caratterizza in modo peculiare la figura di Peter Pan, proprio praticandolo con i bambini Llewelyn Davis. Facendo finta di essere pirati, pellerossa e altro ancora. “Perché per poter volare occorre credere. Forse noi adulti non siamo più capaci di volare perché non crediamo più.” Peter Pan ha inoltre la psicologia del bambino: narcisista, spensierato, egoista, coraggioso e pieno di fantasia. E sempre rimarrà così. Come giustamente afferma nel film il vero Peter, che ha i piedi saldamente attaccati a terra, Peter Pan non è lui, ma Barrie, che descrive il proprio animo, il quale per certi versi è sempre rimasto infantile. Il film continua con una serie di richiami fra realtà e finzione che mostrano come la prima si trasfiguri nei personaggi e nelle storie della commedia. Nello stesso modo Grossmann, nel suo splendido libro su Dostoevskji, racconta come frammenti e persone della realtà biografica vanno a costruire materiali per le opere del grande romanziere russo. Barrie però non ripeterà mai nei suoi altri lavori un successo così straordinario.

Un celebre testo di psicologia popolare, Dan Kiley, The Peter Pan Syndrome: Men Who Have Never Grown Up.ha lanciato la cosiddetta “sindrome di Peter Pan” nel 1983, cioè il desiderio di non crescere di molti adulti. Tale sindrome non è mai stata accettata però dalla psichiatria ufficiale.

Dobbiamo però concludere ricordando, come ci fa notare Gadamer in Verità e metodo, che non esiste solo una concezione romantica della creazione artistica, che effettivamente ha dominato la cultura europea da Goethe a Barrie stesso, ma anche una simbolica, che caratterizza l’arte medioevale, quella barocca e anche quella del Novecento, per la quale l’autore, più che rifarsi per analogia ad aspetti della propria biografia, esprime se stesso mettendo assieme frammenti di forme che rendono simbolicamente la propria interiorità. Così la pittura informale, così il correlativo oggettivo di Montale e così anche il cinema espressionista tedesco di Lang e Murnau. Ma questa è un’altra storia.


[1] Il testo del romanzo in inglese è disponibile all’indirizzo http://www.gutenberg.org/etext/16.

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RAGIONEVOLEZZA E FOLLIA

Da qualche parte lessi che “quando la follia diventa ragionevole, allora la ragionevolezza sembra folle”. Questa è una sensazione che spesso mi assale. Un relativista potrebbe dire che non è possibile distinguere fra ragionevolezza e follia. E’ la maggioranza che stabilisce che cosa è ragionevole e che cosa è folle. E’ vero che quella frase presuppone una norma a cui attenersi, cioè la ragione dovrebbe essere qualcosa di almeno in parte indipendente da ciò che gli uomini ritengono. Come si fa a stabilire quale sia questa norma? Credo che non sia un caso che le parole “normale” e “normativo” abbiano la stessa radice: cioè, in un certo senso, la norma è la normalità. Sento già il coro di disapprovazione alla piattezza di questa morale. Ma aspettate che provi a dire, seguendo Aristotele, che cosa sia la normalità. La normalità è il giusto mezzo, ma non rispetto agli altri. Ognuno ha il suo giusto mezzo e quella è la sua norma. Se sono portato per la matematica il mio giusto mezzo nel suo studio sarà diverso dal caso in cui sono un po’ tetragono per quella disciplina. Sento già dire: “Ma allora occorre sempre seguire il giusto mezzo, che rigidità!” Anche in questo occorre il giusto mezzo. Ci sono le eccezioni; Aristotele diceva che ci stiamo muovendo nel mondo del “per lo più”. Per concludere, un pizzico di follia è ragionevole.

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DARWIN E LA RELIGIONE

Nel bel libro di Telmo Pievani, “Creazione senza Dio”, Einaudi 2006, nella prima parte viene raccontato il percorso religioso di Charles Darwin, che, aveva formato la sua fede anglicana sull’importante testo apologetico di William Paley, Evidences of Christianity. In quest’ultimo si argomentava a favore del Cristianesimo sulla base di una miriade di argomenti di sapore teleologico, ovvero si vedeva l’esistenza di Dio nella molteplicità di situazioni del mondo che danno l’apparenza chiara di essere fatte per uno scopo. Ad esempio, come avremmo potuto noi vivere sulla Terra, se non ci fosse stato ossigeno nell’atmosfera? Nell’ultima parte della sua vita Darwin progressivamente diventerà agnostico proprio perché avrà trovato con il suo genio una possibile spiegazione di tutta questa apparente teleologia, che non richiedeva l’ipotesi di un Dio trascendente. Mi chiedo che cosa sarebbe accaduto alla religiosità del grande naturalista se, invece che sul testo di Paley, si fosse formata sul libro di Giobbe. Quest’ultimo scopre attraverso la sua insensata sofferenza che il creato non è stato costruito sulla base di un disegno che l’uomo può comprendere. Iahve gli dice infatti “Dove eri tu qundo io ho acceso le stelle del cielo?” La religiosità che scopre Giobbe non è l’amore di Dio perché ha messo a punto il creato per il nostro benessere, ma l’amore del creato in quanto tale. Credo che Darwin fino all’ultimo giorno della sua vita mai abbia perso lo stupore di fronte a ciò che lo circondava e il mistero della natura gli era ben presente. Questa religiosità forse non l’avrebbe mai persa.

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LA FIDUCIA E “IL PICCOLO LORD”

Il romanzo strappalacrime per ragazzi “Il piccolo Lord” della scrittrice americana Burnett, oltre a descrivere con garbo e umorismo il conflitto fa la mentalità inglese e quella americana e ad aver suscitato un film bello e fedele con Alec Guinness che interpreta la parte del vecchio nonno incarognito, impartisce una lezione profonda di vita. Cedric, il piccolo, inconsapevolemente, adotta una strategia che a volte riesce a far vincere battaglie disperate. Tratta il nonnno non come è, bisbetico ed egoista, ma come lui vorrebbe che fosse, altruista e affettuoso e un po’ alla volta il nonno diventa effettivamente così. Questo mi ricorda una frase del Presidente democratico degli Stati Uniti, riconfermato ben due volte, che ha impersonato il New Deal, cioè Franklin Delano Roosvelt, il quale affermava che molte cose gli sono andate bene perchè egli dava fiducia anche quando era del tutto irragionevole. Certo non funziona sempre. Bisogna stare attenti a non crederci veramente nella fiducia che si sta dando. Pensate che amara disillusione per Cedric, se il nonno non fosse cambiato! Mi viene in mente anche un bel racconto del premio Nobel per la letteratura, scrittore yddish, Isaac Singer, in cui un signore infelice si reca dal suo Rabbino per chiedergli che cosa deve fare. E quello gli risponde di ripetere a se stesso ogni quarto d’ora “Sono un uomo felice”. Il fedele torna a casa poco convinto, ma prova lo stesso e sta di fatto che dopo qualche settimana di questa medicina auto-suggestiva riesce a cambiare il proprio umore. Purtroppo non sempre riesce neanche questa terapia, ma vale comunque la pena provarci.

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LA CONVERSIONE DI MAGDI ALLAM

La conversione di Magdi Allam al Cattolicesimo fa venire in mente la frase di Enrico IV, ugonotto, che, per accedere al trono di Francia, verso la fine del Cinquecento, si convertì al Cattolicesimo, pronunciando la celebre frase “Parigi val bene una messa”. Io ho pensato che lunedì sono ateo, martedì, buddista, mercoledì induista, giovedì musulmano, venerdì protestante, sabato ovviamente ebreo e domenica cattolico! E tutta la settimana ho un’esisgenza profonda di una religiosità che non tenda a imporre steccati, che non si dichiari portatrice della verità, che non sia costruita sul controllo delle coscienze, ma sull’apertura a ciò che è altro.

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UN METODO IN FILOSOFIA

Mentre preparavo la mia tesi di dottorato – a un convegno a Sanremo nel 1987 – Giuseppe Cantillo, importante professore di filosofia dell’Università di Napoli, mi diede un suggerimento per il mio lavoro filosofico, che si rivelò prezioso. Roger Penrose, in una delle risposte alle critiche ali suoi argomenti contro la possibilità di una rappresentazione del ragionamento umano mediante una macchina di Turing, nota che il suo metodo di lavoro è proprio quello che Cantillo mi suggeriva:

My method of working has tended to be that I would gather some key points from the work of others and then spend most of my time working entirely on my own. Only at a much later stage would I return to the literature to see how my evolved views might relate to those of others, and in what respects I had been anticipated or perhaps contradicted. http://psyche.csse.monash.edu.au/v2/psyche-2-23-penrose.htm

E’ un consiglio che darei a chiunque si accinga a una ricerca filosofica. Da un lato non bisogna trascurare l’immensa bibliografia disponibile su quasi qualsiasi argomento, dall’altro non bisogna farsi sommergere da essa.

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VERGOGNARSI DELLA CASA SPORCA

Ogni tanto mia moglie dice che si vergogna ad avere la casa sporca quando qualcuno ci viene a trovare. E allora a me viene da dire, perché non si vergognano quelli che ci vengono a trovare per il fatto che non conoscono il teorema della diagonale di Cantor, oppure la disuguaglianza di Bell o anche l’ebraico antico. Allora lei mi risponde: “Ma io non conosco l’ebraico antico”. E io di rimando: “Mica te ne vergogni però. E allora perché vergognarsi della casa sporca!”.

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INSEGNARE LE LINGUE ANTICHE

La scuola italiana, oltre a mantenere la discutibile centralità assoluta del latino e del greco nel suo progetto formativo, insegna queste lingue antiche in modo da favorire e consolidare nei discenti un odio profondo per questi grandi patrimoni della nostra civiltà. Il nostro modello di paideia resta legato al curricolo del liceo classico e infatti si vedono le conseguenze. In una recente indagine è risultato che gli italiani sono fra i più analfabeti dei paesi OCSE. L’80% degli adulti non è in grado di leggere un semplice grafico o di seguire un facile ragionamento. Cambiare la paideia di una nazione non è un’operazione che si realizza dall’oggi al domani. Si rischia infatti, come spesso è accaduto, di distruggere senza costruire nulla. E’ meglio che gli studenti studino con bravi professori il latino e il greco, che con professori non adeguatamente formati il diritto, l’economia, la sociologia e la psicologia, che sarebbero ben più importanti per la formazione. Inoltre mi chiedo se queste lingue potrebbero essere insegnate in modo meno noioso. Gli scolari per tutto il biennio sono costretti a mandare a memoria le tabelle delle coniugazioni e delle declinazioni, un lavoro snervante e demotivante, che ottunde le capacità intellettuali. Non sarebbe meglio mettere a punto una sorta di manabile, che aiuti lo scolaro a leggere le desinenze, in modo che rapidamente sia in grado di trovare il soggetto e il verbo; insegnargli quindi alcuni elementi fondamentali di sintassi e poi fargli leggere semplici testi – come il Vangelo, Fedro o Cesare – dopo pochi mesi dall’inizio dello studio?

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IL CONFLITTO FRA ISRAELIANI E PALESTINESI

Riporto qui un riassunto del bel libro di Benny Morris, uno degli esponenti della “nuova storia” in Israele, cioè di coloro che hanno cominciato a lavorare per scrostare la storia dello stato ebraico dalle mitologie del sionismo. Morris è noto soprattutto per i suoi studi approfonditi sulla formazione dei profughi durante il primo conflitto israelo-palestinese, nei quali ha messo in luce anche le responsabilità dello stato israeliano, che comunque sono solo parziali, come è noto alla storiografia più attenta. Egli negli ultimi anni ha abbandonato ogni speranza di pace con i palestinesi, rispetto ai quali ora nutre un profondo scetticismo, dopo che per anni, anche attraverso i suoi studi, ha auspicato il dialogo.

Benny Morris, Vittime. Storia del conflitto arabo-sionista 1881-2001, Rizzoli, Milano 2001.

1. Il sionismo, per ammissione degli stessi suoi membri più influenti, come Ben Gurion, fu un progetto di conquista. Il problema ebraico, dopo i pogrom nell’Est degli anni 1880, dell’inizio del Novecento e degli anni 1920, ma soprattutto, dopo l’Olocausto, doveva essere risolto. Gli ebrei, come ogni altro popolo dopo la Rivoluzione francese, aspira alla sua autodeterminazione. La soluzione proposta a tavolino dall’Inghilterra dell’Uganda è un po’ artificiosa, ma la Palestina era abitata da un altro popolo.

2. Gli ebrei hanno comprato la terra dagli arabi, però nelle loro manifestazioni hanno sempre espresso il loro desiderio di fondare uno stato. Fino al 1937 l’atteggiamento degli ebrei nei confronti degli arabi è sostanzialmente difensivo. Gli arabi ricchi vendevano le terre, e i poveri, che in esse lavoravano, venivano estromessi e quindi nutrivano odio nei confronti dei nuovi padroni. Dopo il 1937 alcuni ebrei di destra, tra cui Begin, iniziano la politica della rappresaglia nei confronti degli atti aggressivi degli arabi. Il grosso del movimento ebraico era socialista e organizzava un esercito per sola difesa. Ma all’interno di questa struttura militare si afferma anche una formazione di destra che darà origine al Likud. E’ interessante notare che la politica della rappresaglia non è mai stata efficace nel limitare il terrorismo arabo, se non in modo temporaneo e locale.

3. Fino alla dichiarazione dello stato di Israele, 1948, non si può parlare di un movimento nazionale palestinese. La Palestina era prima in mano ai turchi e dopo la Prima guerra agli inglesi. La rivolta araba del 36-39 contro gli inglesi fu disordinata e priva di un’idea politica.

4. Durante la Seconda guerra gli ebrei presero le parti degli Alleati in modo chiaro, mentre molti palestinesi, fra cui il loro leader radicale Husayni, furono filonazisti.

5. Fin dall’inizio l’organizzazione politica degli ebrei è di tipo democratico, mentre quella palestinese fino a tutt’oggi non lo è mai stata. La classe dirigente palestinese è sempre stata profondamente corrotta.

6. Il 29/11/1947 l’ONU approva la risoluzione 181 che costituisce in Palestina uno stato ebraico e uno arabo. Essa è stata resa possibile a) dal senso di colpa degli europei dopo l’Olocausto; b) dalle pressioni su Truman della lobby ebraico-americana; c) dal valore umano e lavorativo degli insediamenti ebraici confrontato con la miseria di quelli arabi. Passa con 33 a favore, 13 contro e 10 astenuti. Ritengo che non sia stata una buona idea.

7. Il problema dei profughi palestinesi nasce dopo il ’48. Essi non accettano la risoluzione dell’ONU e non formano uno stato palestinese. Non vi è una precisa politica israeliana di espulsione, anche se talvolta è stata favorita. I palestinesi avevano paura della loro condizione di minorità in Israele. Solo la Giordania li ha ospitati, per poi massacrarli nel famoso settembre nero del ’70. Dopo di che andranno soprattutto in Libano. Gli altri paesi arabi, pur rifiutandoli, erano felici di poterli usare contro Israele.

8. Dopo la prima guerra 1948-49 arabo-israeliana Israele poteva concludere la pace con Giordania e Siria. la politica espansionista che ormai si sta affermando gli impedisce di cogliere l’opportunità.

9. Dopo il ’49 Israele si trova a dover affrontare gli sconfinamenti dei palestinesi lungo il confine con l’Egitto nella striscia di Gaza e sulla West Bank del Giordano. Si tratta soprattutto di arabi che abitavano in precedenza nel territorio ora controllato da Israele. Israele reagisce con la rappresaglia, prima contro obiettivi civili e dopo un grave episodio contro obiettivi militari. ma gli effetti sono locali e temporanei.

10. Ben Gurion e Moshe Dayan hanno cercato la guerra del ’56 conclusasi con la sconfitta dell’Egitto. Con questo sono diminuiti gli sconfinamenti, ma è poi iniziata la politica panaraba che mirava alla soppressione di Israele di Nasser.

11. La guerra dei 6 giorni del ’67 fu iniziata di fatto da Israele; bisogna dire però che la Siria stava aiutando la politica terrorista dell’OLP fondato qualche anno prima da Arafat, e Nasser aveva un atteggiamento molto bellicoso. Ci sono stati poi molti malintesi.

12. Nella guerra del ’67 Israele toglie il Sinai e la striscia di Gaza all’Egitto, le alture del Golan alla Siria e la Cisgiordania alla Giordania. Finita la guerra Israele propone a Siria ed Egitto i territori in cambio di pace. Entrambi rifiutano.

13. Il Labour non favorì tanto la politica degli insediamenti, né la intralciò. Ma dopo il ’77 il Likud al governo la favorì molto.

14. L’occupazione dei luoghi sacri di Gerusalemme e Hebron da parte di Israele fu più liberale nei confronti degli arabi di quanto fosse stata in precedenza quella dei giordani nei confronti degli ebrei.

15. Nella striscia di Gaza e in Cisgiordania, Israele si comporta come ogni altro popolo colonizzatore: pestaggi, corruzione e soprusi, favorendo così la resistenza armata dei palestinesi.

16. Dopo la sconfitta del ’67 nasce un movimento revancista tra gli arabi, che però è scevro da autocritica.

17. Dopo la guerra del ’67 si ha la famosa risoluzione 242 dell’ONU che parla di restituzione d(e)i territori da parte di israele in cambio della pace. Di questa risoluzione circolano due versioni: quella con la “e” nel “d(e)i” piace di più agli arabi, quella senza piace di più agli israeliani.

18. Nasser nel 1970 viola unilateralmente gli accordi armistiziali presi dopo il ’67 con Israele e USA.

19. Lo scontro fra Israele ed Egitto dopo il ’67 diventa un’espressione della Guerra Fredda fra USA e URSS.

20. Fin dagli anni ’60 l’atteggiamento dell’OLP di fronte agli attentati terroristici fu ambiguo: spesso li condannava dopo averli favoriti o comunque non impediti.

21. L’OLP aveva nel suo atto costitutivo l’eliminazione dello stato di Israele. Fino aoggi non è stata del tutto cancellata.

22. Egitto e Siria, che non avevano tanti profughi palestinesi, fomentavano la loro aggressività contro Israele, mentre la Giordania e il Libano, che ne avevano molti, la tolleravano a fatica, in quanto creava un vero e proprio stato nello stato.

23. I palestinesi potevano poco contro l’ormai forte esercito israeliano, ma il loro terrorismo manteneva viva l’attenzione internazionale sulla loro questione.

24. Lo stato di tensione permanente in Israele favorì l’emergere di una destra oltranzista e la messa in discussione delle istituzioni democratiche. Ormai il personale politico viene quasi sempre dai quadri militari.

25. Dopo la morte di Nasser e la salita al potere in Egitto di Sadat, nel ’71, Israele perde un’occasione storica per concludere la pace con l’Egitto.

26. Fino al ’67 Israele combatte per la sopravvivenza, dando prova sul campo di grande coraggio. Lo stesso faranno gli arabi nella guerra del ’73, perché feriti nell’orgoglio dopo la sconfitta del ’67.

27. L?OLP non accettava l’esistenza di Israele né la risoluzione 242 dell’ONU.

28. La guerra del ’73, provocata da Egitto e Siria, in cui Israele stava per perdere, ma poi si riprese e allargò la sua occupazione, convinse Israele a seguire la via dello scambio di territori per pace. Gli arabi non erano più gli sprovveduti delle guerre precedenti e avevano dimostrato sul campo che era possibile battere Israele.

29. Sadat cercherà poi la pace, fino al suo gesto plateale del ’77, la visita a Gerusalemme, non capita dagli israeliani. Fu un leader di grande valore.

30. Assad, dittatore della Siria e Arafat si opposero al processo di pace iniziato da Sadat.

31. La pace nel 1978 a camp David fra Israele ed Egitto è soprattutto merito di Sadat e Carter. Gli egiziani non seguirono però il suo leader, che qualche anno dopo venne assassinato. Gli israeliani, invece, acclamarono Begin.

32. L’OLP dal Libano portava attacchi terroristici a israele aiutato dalla Siria. Begin e soprattutto Sharon portarono la guerra al Libano. Essa distrusse il quartier generale dell’OLP, ma in sostanza fu inutile e sanguinosa. Israele si dovette ritirare e gli Hizbullah (estremisti islamici), sempre aiutati dalla Siria, iniziarono i loro attacchi a Israele.

33. Nella guerra gli israeliani si allearono ai cristiani maroniti o falangisti, che rappresentavano una minoranza cospicua della popolazione libanese. I famosi eccidi di Sabra e Schatilla furono compiuti dai falangisti, che volevano vendicare l’assassinio, da parte dei musulmani, del neoeletto presidente maronita Gemayel. Essi ne sono i primi responsabili. Però Sharon e l’alto comando militare israeliano ne furono complici, in quanto pur consapevoli del pericolo che accadesse la carneficina, non fecero nulla per evitarla. I morti furono circa 800. (Su un articolo del Manifesto, quando Sharon tornò alla ribalta politica, lessi il seguente titolo: “Sharon, responsabile della morte di 4000 palestinesi a Sabra e Schatilla…..”!).

34. I palestinesi, fin dagli anni ’30, si sono sempre dimostrati poco inclini al compromesso.

35. L’intifada (in arabo scrollarsi dalle spalle) inizia nell’87, dopo il fallimento israeliano in Libano. Essa è un movimento popolare nei territori occupati – striscia di Gaza e Cisgiordania – che colse di sorpresa anche l’OLP.

36. Dal punto di vista economico i territori sotto israele dal ’67 in poi hanno avuto un notevole miglioramento nelle condizioni di vita, che però negli ultimi 2 anni prima dell’intifada si era fermato. La causa dell’intifada è la condizione di minorità politica in cui vivevano i palestinesi sotto Israele.

37. La reazione israeliana all’intifada fu violenta. Rabin era responsabile dei territori e introdusse l’uso dei manganelli antisommossa (quelli che provocano fratture). Interrogatori con torture e rappresaglie indiscirminate.

38. L’intifada fu un movimento di liberazione popolare non particolarmente violento. Solo dopo molti mesi l’OLP ne capì la natura e cerco di prenderne la leadership. Al suo interno nacque Hamas, che invece fu oltranzista e terrorista e ostacolò il processo di pace iniziato dai laburisti con Rabin, che nel frattempo aveva capito che occorreva ridare i territori in cambio di pace..

39. Rabin fu assassinato nel 1995 e il Labour di Peres perse le elezioni, anche per merito di Hamas, che in quei giorni realizzo molti attentati, che indebolirono la posizione della sinistra.

40. Con l’avvento di Netanyau Israele blocca il processo di pace non rispettando gli accordi di Oslo. Si vede però che Arafat potrebbe fermare ancora il terrorismo, cosa che non fa. L’OLP annulla la vecchia convenzione, che contemplava l’eliminazione dello stato di Israele, ma non ne vota una nuova. Atteggiamento politicamente ambiguo.

41. Nel ’99 vince in Israele il Labour di Barak, che si ritira unilateralmente dal sud del Libano; diminuiscono gli attacchi degli Hizbullah aiutati dalla Siria. Il processo di pace viene però nuovamente interrotto dalla morte del dittatore siriano Assad. Israele sarebbe stato disposto a cedere il Golan in cambio della pace.

42. Nel luglio 2000 a Camp David si incontrano Arafat e Barak, il quale fa molte concessioni, compresa Gerusalemme Est. Ma Arafat insiste sul diritto al ritorno di tutti i profughi, che determinerebbe la dissoluzione di israele, che non può ospitare milioni di palestinesi. Arafat rifiuta e viene acclamato dal suo popolo.

43. Poco dopo inizia la seconda intifada, che prende come pretesto la visita di Sharon al sacro recinto. (La stampa occidentale presenta questa come la causa dell’intifada, in realtà era già pronta). Questa fu molto più violenta e orchestrata in parte dall’OLP.

44. Questa volta la rivolta si estende anche agli arabi che vivono in Israele, che avevano votato Barak e i loro rappresentanti non erano stati accolti nella coalizione di sinistra per ragioni tattiche.

45. Questa seconda intifada è molto giocata sul piano mediatico da Arafat. Che colpevolizza Israele con l’uso sistematico della menzogna. In realtà sono sempre i palestinesi a iniziare gli atti violenti e l’esercito israeliano mostra un notevole autocontrollo.

46. A dicembre 2000 Barak sta per finire il mandato e anche Clinton. Egli tenta nuovamente il processo di pace, concedendo ancora di più della città vecchia e anche qualcosa sul diritto al ritorno. Arafat nuovamente rifiuta acclamato dal popolo. Hamas continua i suoi attentati, favorendo nuovamente l’avvento della destra in Israele. Vince Sharon. I palestinesi hanno ormai un atteggiamento oltranzista che delegittima il più “moderato” Arafat.

47. Anche la Siria rifiuta la pace in cambio del 96% del Golan.

48. Ci sono nell’ambito della letteratura storica israeliana seri studi sulle sofferenze dei palestinesi, come quelli dello stesso Benny Morris; Aspettiamo ancora uno studio palestinese sulle sofferenze degli ebrei nella storia d’Europa.

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