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AGGRESSIVITA’, RAZIONALITA’, DOGMA

L’uomo, come molti altri primati, è dotato di aggressività intraspecifica, che spesso agisce nei nostri attacchi di collera. L’uomo, tuttavia, forse unico fra gli animali, è dotato di razionalità, cioè di capacità di valutare i pro e i contro di una scelta. La nostra aggressività mescolata con la razionalità porta verso il crimine. L’uomo, infine, ha bisogno di certezze assolute, dogmi. La nostra aggressività mescolata ai dogmi porta con sé le guerre di religione. Il dogma, però, è in conflitto parziale con la razionalità, o meglio la mutila, distorcendo la sua valutazione dei pro e dei contro. Dogma e razionalità producono quella che possiamo chiamare “ideologia”. Le grandi tragedie del XX secolo sono state un mettersi insieme di ideologia e aggressività; questa terribile miscela ha agito ad Auschwitz, così come nei Gulag, durante il Grande balzo in avanti cinese, così come in Cambogia con Pol Pot.

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I MITI SULLA CRISI ECONOMICA

Circolano parecchi miti sulla crisi economica italiana. In primo luogo la crisi italiana non è mondiale, ma, appunto solo di alcuni paesi, soprattutto di quelli più sviluppati. L’economia mondiale, anche se un po’ più lentamente, cresce comunque al 4%. Inoltre fra i paesi sviluppati l’Italia è il peggiore di tutti. Negli ultimi dieci anni è cresciuto meno di quasi tutti i paesi del mondo, per cui le cause della crisi sono specifiche dell’Italia. Diventa quindi errato attribuire le colpe della crisi al Nord Europa e in particolare alla Germania, come spesso si fa. Certo la politica anti-inflattiva imposta dalla Germani alla BCE non aiuta, ma non è quella la causa. E’ inoltre poco plausibile dire che la crisi dipende dai mercati finanziari. Certamente la crisi del 2008 è dipesa dall’uso selvaggio dei derivati che avevano impacchettato grandi quantità di mutui insolventi, ma quella è stata la causa occasionale. La libera circolazione dei capitali è un’occasione di produrre ricchezza e non un limite. Essa fa sì che paesi come la Cina crescono ancora del 7-8%. Il problema dei mercati finanziari è un altro. Il potere è distribuito in poche mani e questo oltre che iniquo, è anche molto pericoloso. Le ragioni della nostra crisi stanno da un’altra parte.

In primo luogo l’Italia non ha investito in conoscenza, per cui tutti i prodotti ad alto contenuto tecnologico si fanno altrove. In secondo,luogo, nella manifattura i cinesi fanno le stesse cose che facciamo noi a prezzi molto più contenuti e quindi ci hanno portato via una fetta enorme del mercato, soprattutto quello di qualità media. Restiamo concorrenziali solo per i prodotti di design. In terzo luogo in passato abbiamo viziato l’impresa italiana con lira debole e fiumi di denaro pubblico nelle tasche degli italiani, che sostenevano la domanda. Adesso questo, per fortuna, non si può più fare. Inoltre il nostro debito non ci consente di fare ulteriori spese. In quarto luogo l’impresa italiana è troppo spezzettata per affrontare le sfide internazionali della concorrenza. In quinto luogo l’italiano è sì creativo e impegnato, ma non sa lavorare in squadra e oggi c’è molto bisogno di coordinamento, e quindi questo ci penalizza. Non ultimo ci manca il senso di responsabilità, per cui i corifei che attribuiscono la crisi ad altri in Italia hanno grande successo. La crisi si affronta innanzitutto prendono noi il destino nelle nostre mani e non dando la colpa agli altri.

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ERA MEGLIO LA CRISI DI GOVERNO?

Siamo andati a votare con una legge che aveva buone probabilità di non creare una maggioranza chiara, cosa che è effettivamente accaduta. Il PD aveva una lieve maggioranza alla Camera, ma non al Senato. Ha provato ad allearsi con i grillini, ma è stato impossibile. A questo punto o si andava di nuovo alle elezioni sempre con la stessa legge, oppure si faceva il governo con Berlusconi. Si è scelta la seconda alternativa, che in effetti è sembrata più ragionevole, se si voleva evitare una crisi economica ancora peggiore di quella che già c’è. La cassazione ha giustamente anticipato la sentenza per evitare la prescrizione. Il PDL, che è come è noto un partito di avanzi di galera, ha gridato allo scandalo. Ricordiamoci che comunque più di un quarto degli italiani si identifica in quella linea politica. Berlusconi ha chiesto la sospensione dei lavori della Camera per tre giorni in segno di protesta contro la decisione della Cassazione, oppure la crisi. Chi avrebbe scelto la crisi, mandando il paese alle ortiche alzi la mano. Perché costui non è tanto intelligente, oppure è un irresponsabile. Il PD andando in trattativa ha ottenuto che la sospensione si riducesse a un giorno. Poi arrivano gli avvoltoi di SEL e Grillo e anche dentro il PD a monetizzare il dissenso degli irresponsabili. Certo che è orrendo proptestare contro la Cassazione, ma era meglio la crisi e le elezioni senza un’adeguata legge elettorale?

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LA DECIMA PARATA PAR TOT

Ieri ho partecipato alla decima edizione della Parata Par tòt, promossa dall’associazione Oltre…, presieduta da Lydia Buchner, che la accudisce con spirito illuminato da circa 15 anni. Da molti anni sono vice-presidente dell’associazione, ma più come voce fuori campo ai Direttivi che come concreto operatore. L?associazione si basa sul lavoro congiunto di volontari di diverse generazioni che hanno espresso un modo di vivere la città più partecipato, meno artificiale, poliedrico e artistico. Le nostre iniziative sono caratterizzate da un forte spirito di inclusione, espresso anche dall’ampia rete internazionale in cui siamo inseriti, e dal riconoscimento di pubblico – anche quest’anno decine di migliaia di partecipanti all’evento – e delle istituzioni. Lo stesso Sindaco ha scritto quest’anno una splendida lettera all’associazione, per complimentarsi con noi. Per vedere un parere in controtendenza leggi qui.

La parata par tòt questa volta si è spostata dal Centro al Pilastro. Di fatto è durata una settimana, da domenica 9 giugno a ieri 15 giugno. Domenica scorsa nel parco Pasolini ho vissuto un momento di commozione. Uno accanto all’altro, padiglioni allestiti in stili diversi, magrebini, eritrei, rom e italiani, soprattutto bambini, esprimevano la loro voglia di stare assieme ed esprimere se stessi. Ha piovuto più volte, anche in modo torrenziale, ciò malgrado, il parco, a ogni schiarita si ripopolava ancor più affollato.

Ieri invece per le strade difficili del Pilastro, normalmente caratterizzate dai rapporti di onore e di sopraffazione delle piccole combriccole locali, si è visto qualcosa di diverso e simile. Simile nel voler preservare i rapporti umani forti, diverso, nel volersi aprire ed essere solidali. Zingari pancioni guardavano stupiti, mentre i ragazzi si esibivano con i trampoli e le percussioni, con le danze e i travestimenti.

Il clima sereno, apprezzato anche dal mitico Oscar della Fattoria, che citava con le lacrime agli occhi la gioia di vivere del poeta rivoluzionario Majakowskji, è stato funestato dalla forte presenza dei venditori abusivi di bibite. Purtroppo la sete era tanta e molti ragazzi, come spesso fanno, hanno bevuto più del necessario. Piccoli episodi di trasandatezza sono inevitabili in un evento così grande. Mi ha colpito particolarmente quando un gruppo di dj ha suonato musica tecno a tutto volume, violando gli accordi che avevano preso con l’organizzazione, così che circa un centinaio di ragazzi letteralmente frastornati, si sono messi a ballare come robot telecomandati. E quando noi dell’organizzazione abbiamo provato a chiedere il cessate la musica non dal vivo, abbiamo rischiato il linciaggio. Abbiamo impiegato quasi un’ora per farli smettere.

Forse eventi più piccoli, più prolungati nel tempo, animati dallo stesso spirito, potrebbero essere ancora più efficaci ed evitare certi comportamenti conformistici e fuori dallo spirito Oltre…

Grazie a Lydia Buchner, Annalisa Bonvicini, Anna Chisena, Daniela Monaco, Paolo Patruno, Francesco Volta, Amilcare, Marianna, Giuseppe Lentini, Iris, Alessandra Paganelli, e tantissimi altri che ora mi sono dimenticato. Grazie a tutti (tòt).

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THE WORSE ARE BUDGET’S CUTS, NOT REFORMS

In this interesting report of UE on education’s expenditure in European Countries, it is possible to see Italy’svery bad  behavior. Our country is dealing the crisis by decreasing education’s budget (see in particular p. 25). This strategy is mistaken, since, how it results from the annual statistical report realized by ISTAT (see in particular p. 7),  companies with a high level education CEO are more able to address  recession.

These budget’s cuts to education, accomplished above all by Berlusconi’s ministry Tremonti, must not be confused with reforms proposed by Education’s ministry Gelmini. The last ones has been not so relevant for our education system. Indeed their main aim was to hide budget’s cuts behind a political screen.

In particular in one point, according to me, Gelmini’s reform of hierarchical structure in University has been an improvement. In Italy all academic positions of coordination, as chancellor and dean, are elective. Moreover the financial administration of public universities depends above all on professors. On one side, this situation has a remarkable value, since teachers and researchers are responsible of the governance of their institutions and they are not simple employees. Moreover our governance is strongly democratic. On the other side, this formula has two big shortfalls: 1. Deans and chancellor are not able to propose and to promote a coherent policy, because they are often dependent on a myriad of particular interests of people who elected them; 2. professor’s financial administration favored a general policy in which most part of money was used to create jobs, and not to improve the quality of research and didactic. According to the new reform, a professor could be elected chancellor only once, and rest in charge during six years; so he can realize actually his policy, without too many compromises. Someone have spoken of an excessive power of chancellor; but one has to remind that they are elected by all workers of the university. Moreover the chancellor has a strong control on the new financial council of the university. And the last one involves not only people from the university, but a significant number of external members, which not necessarily have the majority.

It seems to me that this reform improved our democratic and autonomous education’s system, without transforming excessively its nature.

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MODIFICHIAMO L’ARTICOLO 1 DELLA COSTITUZIONE

L’art. 1 della Costituzione italiana recita “L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro”. Dietro ci sta l’idea hegeliana secondo cui “lavoro” è plasmare la realtà naturale in accordo con un’idea. Che questo sia un valore di grande importanza è indubbio. Nella Costituzione americana, invece, fin dall’inizio si stabilisce che lo scopo della carta è “to form a more perfect Union, establish Justice, insure domestic Tranquility, provide for the common defence, promote the general Welfare, and secure the Blessings of Liberty to ourselves and our Posterity.” Da cui si vede che lo scopo è soprattutto politico, cioè una buona convivenza civile.

Entrambe le prospettive mi sembrano poco convincenti. Il lavoro è importante, ma più importante ancora è la conoscenza, senza la quale il lavoro sarebbe impossibile. Quindi è da lì che prenderei le mosse. Per contro promuovere la giustizia, la tranquillità e il benessere va bene, ma a qual fine? Ognuno persegue i propri progetti e una carta costituzionale dovrebbe garantire una compatibilità fra questi comportamenti, tuttavia occorre almeno un valore comune, altrimenti la carta è solo uno strumento. La costituzione italiana ha il vantaggio che un valore lo sancisce, cioè il lavoro. Ma questo non può essere il valore supremo e a tutti comune. Perché non scrivere, invece, che “l’Italia è una Repubblica fondata sulla ricerca della conoscenza”? La ricerca della conoscenza è più fondamentale del lavoro, più innocua, non modifica la realtà, quindi non la peggiora, è un piacere che non toglie nulla agli altri, mentre il lavoro, come ben sappiamo, è un bene che può diventare molto scarso. La ricerca della conoscenza è infine l’attività più complessa e ricca che l’uomo è in grado di realizzare.

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NO I SOLDI ALLE PARITARIE

Il 26 maggio a Bologna si vota per il referendum CONSULTIVO riguardo a come utilizzare circa 1 milione di euro del Comune che viene erogato alle scuole paritarie.

Innanzitutto le fonti giuridiche rilevanti: Art. 33 e 34 della Costituzione, poi la legge 62 del 2000 sulla parità e infine l’art. 118 della Costituzione sulla sussidiarietà. La legge 62 estende l’interesse dello Stato alla scuola dell’infanzia. Infatti prima la Costituzione garantiva solo gli 8 anni delle elementari e medie. Parimenti favorisce le scuole paritarie. Qui occorre distinguere fra scuole STATALI e PUBBLICHE. Tutte le scuole paritarie sono pubbliche, anche se non statali, nel senso che svolgono una funzione di interesse generale, in quanto rispettano certi parametri, proprio perché parificate.

Mi sembra che non sia del tutto chiara la liceità di finanziarie le scuole parificate, visto che la costituzione dice espressamente “senza oneri per lo stato“. Mi sembra che ci sia non dico una contraddizione, ma certamente una tensione fra l’articolo 33 e il nuovo 118 che stabilisce che lo stato, i comuni ecc. possono favorire cittadini che si costituiscono in associazioni che svolgono un servizio pubblico. D’altra parte la legge 62 ha comunque fornito il quadro legislativo per il finanziamento alle paritarie che negli anni è aumentato. Anche questa legge sembra ai limiti della costituzionalità.

Di questi soldi a Bologna ne usufruiscono soprattutto le istituzioni cattoliche.  Per questo il PD che ha dentro un’anima cattolica, si è schierato a favore dei soldi alle paritarie. Il referendum di fatto è solo l’espressione di un’opinione, cioè è consultivo. Ha però un valore simbolico, nel senso che chi vota B esprime una contrarietà generale al finanziamento alle scuole paritarie.

Si tenga anche conto che In Italia, come risulta dal rapporto OCSE sull’istruzione, la scuola paritaria è decisamente peggiore di quella pubblica.

Non sono del tutto sicuro che questo milione di euro a favore delle paritarie sia speso male, nel senso che di certo con quei soldi non si possono creare i 1700 posti che di fatto le non statali forniscono. Quest’anno sono rimasti fuori circa 400 bambini, che di fatto non si sono neanche iscritti alle paritarie, che avevano ancora 200 posti liberi circa.

La scelta A, cioè contro il dare alle paritarie il milione di euro, è sostenuta soprattutto da partiti con tradizione antidemocratica, come SEL e Casapound, il che non è un buon viatico.

In generale, comunque penso che voterò A, poiché anche il quadro legislativo della 62 mi sembra poco convincente, non tanto nell’estensione del diritto allo studio, quanto nel tentativo di aggirare il dettato costituzionale “senza oneri per lo stato”. Infine la scuola pubblica in Italia, oltre a essere migliore di quella paritaria in Italia, è anche un luogo, forse uno dei pochi rimasti, dove i ragazzi di diversa provenienza sociale si mescolano effettivamente.

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IL NUOVO MINISTRO: UNA LEGNATA IN MENO

Ogni volta che cambia il Ministro dell’istruzione frotte di intellettuali scrivono lettere aperte al nuovo malcapitato, arrivano suggerimenti di ogni tipo e qualità, quasi più numerosi che all’allenatore della squadra del cuore che sta per retrocedere. Certamente Profumo è stato un notevole passo avanti rispetto a Gelmini e probabilmente Carrozza è un passo avanti rispetto a Profumo. Ma come si può sperare che la situazione di un colpo migliori significativamente? I professori di scuola e dell’Università sono sempre gli stessi, la mentalità degli italiani è sempre la stessa, i soldi sono sempre gli stessi. Come si può sperare con così tanta intensità? Per poi ovviamente rimanere amaramente delusi? Canfora, Israel e tanti altri grilli parlanti. E’ uno spettacolo triste. Il re taumaturgo, direbbe Bloch. Il capo carismatico, direbbe Weber. L’uomo della Provvidenza, direbbe Pio XI. Accontentiamoci se domani invece di prendere 30 legnate sulla capoccia ne prendiamo solo 29. Sarebbe un successo straordinario.

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OSPITO MOLTO VOLENTIERI QUESTE RIFLESSIONI DI MIO PADRE

Nel sito:

http://www.inchiestaonline.it/politica/bruno-giorgini-siamo-in-malissime-mani-la-restaurazione-di-napolitano-la-vittoria-di-berlusconi/

si può leggere un articolo dal titolo:“Siamo in malissime mani; la restaurazione di Napolitano, la vittoria di Berlusconi”  scritto da un’ ottima persona, un “ragazzo” del “68”, Bruno Giorgini. Purtroppo le sue affermazioni contengono alcune affermazioni non condivisibili, come le seguenti: “ Napolitano deprivava i neoeletti della loro libertà e autonomia. Lo chiamerei un delitto contro la democrazia rappresentativa e costituzionale.” .Già Rodotà, a cui pure sono stati fatti dei torti da parte del PD, ha affermato che le decisioni del Parlamento e di Napolitano erano state costituzionalmente legittime. “Siamo così passati da un sistema bipolare di partiti a un sistema bipersonale, Napolitano-Berlusconi.” Ora nessuna persona di sinistra, ma anche nessuna persona onesta e non stupida può essere contenta dalla vittoria politica di Berlusconi. Siamo d’accordo. Ma che alternativa aveva Napolitano, dopo che PD e 5S non erano riusciti a mettersi d’accordo, e successivamente il PD si era sciolto quasi come la neve al sole? Certo, poteva indire nuove elezioni. E cosa avrebbe ottenuto? Che la vittoria di Berlusconi, per ora in parte solo potenziale, sarebbe stata con ogni probabilità definitiva e schiacciante. Con un PD distrutto chi poteva opporglisi?

Guido Fano

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SILLOGISMI NAPOLITANI

Dopo la rielezione di Napolitano, sul web si trova un florilegio di fallacie politiche. 1. Napolitano aveva detto che non si voleva ricandidare e invece ha accettato, quindi è incoerente. Questa è una sciocchezza, poiché quando l’aveva detto le condizioni politiche erano molto diverse da ieri. Napolitano ha accettato perché la situazione è cambiata in peggio. Allora arrivano quelli che dicono: 2. tutto questo era perfettamente prevedibile ed è stato orchestrato da Napolitano stesso. Del senno di poi son piene le fosse. Dopo che è successo è certamente prevedibile che sarebbe successo. In realtà la situazione era talmente complessa e intricata che i possibili sviluppi erano parecchi e tutti incerti per tutti gli attori della vicenda. Poi arrivano quelli che 3. danno la colpa all’uno o all’altro di quello che è successo. In realtà i colpevoli son tutti e nessuno, poiché il gioco è stato talmente complicato che è impossibile trovare un responsabile di tutto, un arbitro del male. Infine ci sono quelli che dicono 4. sì è vero sono tutti colpevoli; è la nostra classe politica che ha fallito. Mi guardo in giro e in qualsiasi comunità del nostro Paese, piccola o grande che sia, trovo esattamente gli stessi meccanismi che vediamo in politica: piccole e grandi disonestà, malaccorta diffidenza, piccoli e grandi egoismi, ipocrisie e parole buone ma vuote. Se qualcuno ha fallito siamo noi italiani, non solo la classe politica, che è ottimo specchio del Paese. La soluzione di tutto questo? Molto semplice, una rivoluzione radicale e tremenda: cominciare a usare la ragione, invece che le viscere.

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LE SCIOCCHEZZE DI MICROMEGA

Sull’ultimo numero di Micromega, come al solito, si tuona contro l’austerità. In un famoso articolo, Reinhart e Rogoff hanno mostrato che esiste una notevole proporzionalità inversa fra debito pubblico consolidato e crescita del PIL, che, quando la prima supera il 90%, diventa drammatica. A parte il fatto che il nostro debito del 130% del PIL ci pone in una situazione in cui non è che possiamo scegliere fra una politica economica austera e una spendacciona, poiché se lo aumentassimo ancora rischieremmo il default; resta il fatto che l’articolo di Micromega è sviante. E’ vero che nel lavoro di Hermdon, Ash e Pollin i dati sono in generale un po’ diversi e molto diversi con debito pubblico superiore al 90%, ma è anche vero che la tesi di fondo di Reinhart e Rogoff non è minimamente scalfita  cioè la crescita negli ultimi 60 anni nelle 20 economie più sviluppate diminuisce all’aumentare del debito consolidato, come nota giustamente l’Economist.

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QUASI QUASI VORREI AVER VOTATO GRILLO!

Alle 15 ho acceso la televisione e gli exit poll davano vincente il Centrosinistra. Ho pensato che chi aveva elaborato le interviste somministrate all’uscita dai seggi avesse eliminato il bias dovuto alla vergogna di chi vota Grillo e Berlusconi. E invece un’ora dopo gli exit poll venivano ribaltati dalle prime proiezioni, esattamente come è già successo nel 2006 e nel 2008. L’uomo è irrazionale, ma prevedibile, come dice Ariely, per cui si ha la sensazione che chi ha messo a punto l’algoritmo per i poll non abbia fatto bene il proprio lavoro.

Berlusconi e Lega perdono tanto rispetto al 2008, ma non quanto avrebbero meritato. Ci dimentichiamo che il Cavaliere possiede ancora il suo impero televisivo, che nessuno ha smantellato quando era possibile. L’Italia è, secondo gli indicatori internazionali, proprio per questo motivo, una democrazia bacata. E sappiamo che almeno il 60% dei cittadini è informato solo dalla televisione, per cui la presenza compulsiva di Berlusconi sulle sue reti ha dato i suoi effetti. Grillo è al 25%, primo partito d’Italia. Certo fa specie, ma guardiamo al PD, che è in mano alla solita nomenclatura conservatrice, che pensa ai cinquantenni e non sa porsi i problemi dei trentenni, che difende quelli dal posto fisso e non ha ricette per creare ricchezza, che si porta dietro la zavorra della CGIL con la sua mentalità assistenziale, che neanche prova a immaginare come affrontare la competizione globale, che non ha detto una parola sul taglio dei privilegi dei politici, che ha una cultura che si rifà a Croce e Gramsci e non si rende conto che il mondo è cambiato e gli autori da leggere sarebbero Rawls e Sen.

Quasi quasi vorrei aver votato Grillo.

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GLI ERRORI (VOLUTI E CONSAPEVOLI) DI BERLUSCONI

manifesto

Posto qui un manifesto promosso da mio padre Guido Fano, affinché si diffonda la consapevolezza della disinformazione promossa da Berlusconi. Il manifesto è stato visionato e approvato già da diverse personalità significative del mondo politico italiano come Amos Luzzatto e Giorgio Basevi.

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CHISSENEFREGA DELLO SPREAD

Come tutti sanno lo stato italiano ha circa 2000 miliardi di euro di debiti, cioè più del 120% del prodotto interno lordo. Questo vuol dire che il nostro paese produce circa 1650 miliardi di euro in beni e servizi. Nel 2012 il PIL è calato invece di crescere. In Cina è cresciuto circa dell’8%, in USA del 2%, in Germania dell’1%. Vado a memoria, quindi sono tutti dati un po’ grossolani, ma rendono l’idea. Su questi 2000 miliardi paghiamo, come ha ricordato Napolitano, più di 80 miliardi di euro di interessi passivi. Esattamente come un mutuo che ci costa circa  il 4% di interessi all’anno. E’ un interesse abbastanza basso. Questo vuol dire che chi compra i nostri buoni del tesoro si fida abbastanza di noi. Perché? Perché negli ultimi 13 mesi abbiamo seguito una politica di rigore. Perché la nostra economia in termini assoluti è molto grossa. Tuttavia se continuiamo a non crescere chi compra i buoni si fiderà di meno. Lo stesso succederà se abbandonassimo la politica di rigore togliendo l’IMU, ad esempio. E se si fida di meno, allora dobbiamo pagare interessi più alti. Metti che per un anno dovessimo pagare interessi più alti, allora tutti i buoni in scadenza dovremmo rinnovarli ad esempio mediamente al 5% invece che al 4%. Credo che in un anno in media scadono e quindi si rinnovano 500 miliardi di buoni, per cui il primo anno dobbiamo pagare in più l’1% di 500 miliardi, cioè 5 miliardi in più. Se continua così a regime, dopo altri 3 anni, dobbiamo pagare 20 miliardi in più. Una cifra immensa che lo stato deve togliere dalle tasche dei cittadini o in aumenti di tasse o in tagli alla spesa.  Ogni cittadino dovrebbe sborsare circa 400 euro in più all’anno. Una famiglia di 4 persone perderebbe 1600 euro ogni anno.

Che cosa è lo spread? Prendiamo i buoni del tesoro italiani a 10 anni e quelli tedeschi equivalenti. Lo spread è la differenza di interesse che il nostro stato paga rispetto alla Germania. Adesso è circa 300, questo vuol dire che noi paghiamo circa 3% in più di interessi rispetto alla Germania. Questo perché? Perché chi compra i nostri buoni, cioè chi presta i soldi allo stato italiano, si fida di meno di noi che della Germania e quindi quando ci dà i soldi vuole guadagnarci di più, dato il rischio. Mettiamo che lo spread aumenti di 100 punti, o addirittura di 200 o 300, come era un anno fa quando è caduto il governo Berlusconi. Se lo spread aumenta di 100 punti questo vuol dire più o meno che noi per piazzare i nostri buoni dobbiamo pagare l’1% in più di interessi. Esattamente quei 1600 euro all’anno a famiglia. Se aumenta di 200, dobbiamo pagare 3200 euro all’anno in più a famiglia.

Chissenefrega dello spread!

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AGENDA MONTI E SCUOLA, UNIVERSITA’ E RICERCA

Qui è possibile leggere la cosiddetta “Agenda Monti”, che contiene alcune parole anche sull’università, la scuola e la ricerca. Come al solito polemico e abbastanza inutile il commento ROARS, che trovate qui. E’ importante notare che Monti dà un ruolo centrale all’istruzione e alla ricerca per il rilancio del paese e per acquisire nuovamente competitività. Non solo Monti vede nell’istruzione un valore economico, ma anche formativo, per il cittadino: “A livello individuale, avere un grado di istruzione adeguato e competenze appropriate è una carta fondamentale per trovare lavoro, realizzare le proprie aspirazioni.” L’istruzione è cioè libertà. Monti ribadisce con forza l’importanza della valutazione degli insegnanti mediante INDIRE e INVALSI. Sistemi che sono stati ampiamente criticati e spesso a ragione, ma questa non è un buon motivo per eliminare la valutazione. Occorre migliorarli, non eliminarli. Lo stesso vale per la valutazione dei docenti universitari tramite l’ANVUR, che ROARS vorrebbe eliminare, mentre giustamente Monti dice che va affinata.  Incentivare i Dirigenti scolastici e gli insegnanti migliori. Questa è la prima cosa da fare per smettere di mortificare il ruolo degli insegnanti. “Man mano che si riduce il costo del debito pubblico e si eliminano spese inutili, possiamo creare nuovi spazi per investimenti nell’istruzione.” ROARS ha criticato aspramente questa posizione, che subordina l’investimento in scuola, università e ricerca ai tagli. Monti è chiaro, non possiamo aumentare la spesa pubblica, per cui questa posizione è una conseguenza di quella valutazione. Inoltre tutti hanno criticato il governo Monti per non avere reintegrato 400 milioni all’FFO universitario, ma nessuno ha notato che rispetto a quello che aveva programmato Tremonti, cioè un taglio di 1,5 miliardi di euro all’FFO, finalmente si è avuta un’inversione di tendenza. Che poi non si sono riusciti a trovare tutti e 400 i milioni è triste. Ne abbiamo trovati solo 100, ma questo dipende anche dalla grave crisi economica che peggiora di giorno in giorno. “Bisogna inoltre rilevare per ogni facoltà in modo sistematico la coerenza degli esiti occupazionali a sei mesi e tre anni dal conseguimento della laurea, rendendo pubblici i risultati.” Questa è la parte più debole dell’agenda. la legge 240 ha eliminato le facoltà, quindi la terminologia è sbagliata. Inoltre questo lo fa già ALMALAUREA. In aggiunta a ciò, occorrerebbe un monitoraggio della situazione del lavoro degli studenti anche a 5 o 10 anni per vedere l’effetto della formazione non solo nel breve periodo, ma anche nel lungo. La funzione della formazione non è solo trovare lavoro, ma, come lo stesso Monti dice, avere più possibilità di realizzare le proprie aspirazioni. O meglio capire meglio quali siano le proprie aspirazioni.   “E’ prioritario accrescere gli investimenti nella ricerca e nell’innovazione, incentivando in particolare gli investimenti del settore privato, anche mediante agevolazioni fiscali e rafforzando il dialogo tra imprese e università.” ROARS critica questa posizione dicendo che è disattenta al dibattito internazionale.  E invece proprio guardando i dati internazionali ci si rende conto che chi manca all’appello negli investimenti in scuola, università e ricerca in Italia non è tanto lo stato, quanto l’impresa, che in Italia è mediamente miope e di scarso respiro. 

Insomma nel complesso l’agenda Monti è un buon punto di partenza.

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LA LOGICA E IL MAESTRO BOCCIATO

In questi giorni ha circolato molto sul web questo post sul concorsone per l’assunzione in ruolo degli insegnanti. La storia raccontata è toccante e merita attenzione. Un maestro supplente, evidentemente impegnato e appassionato per l’insegnamento, con ampia esperienza e un modo di entrare in classe aperto e serio è stato bloccato dal test di ammissione al concorso. Questo test aveva già suscitato ampie polemiche, perché basato su scelte multiple e orientato su argomenti a carattere logico e anche aritmetico. La situazione è difficile. Credo che ci siano centinaia di migliaia di domande, per cui fare la selezione è un compito immane e spropositato, per cui qualsiasi metodo non può che essere frettoloso e discutibile. E purtroppo il maestro è incappato in un test magari particolarmente difficile, oppure ambiguo, oppure in un momento di non totale lucidità. Detto questo però, da un punto di vista del contenuto non sono d’accordo. In primo luogo, non è vero che è un computer che lo ha scartato. Il computer è stato programmato da persone e semplicemente eseguiva un compito in tempo minore. In secondo luogo l’esempio di domanda che propone dileggiandolo è tutt’altro che banale. Per insegnare la prima cosa, ancor prima del sapere, dell’impegno, della Costituzione e di tante altre belle cose, è la consapevolezza logico-linguistica. L’insegnamento non è solo logica, ma senza quella non si va da nessuna parte. Bene ha fatto quindi il Ministero a controllare prima di tutto le capacità cognitive minimali dei possibili neoassunti insegnanti. Una persona che non sia in grado di destreggiarsi in mezzo a semplici argomentazioni non potrà mai trasmettere in un alunno la maggiore difesa contro i malintenzionati della politica, cioè i maestri del raggiro, dell’uso retorico delle parole, del camuffamento dei fatti, dell’alzare la polvere per fare i propri comodi, del sofisma che nasconde le vere intenzioni. L’assenza di queste doti è proprio ciò che ha permesso a tanti di governarci raccontandoci delle frottole alle quali noi italiani abbiamo supinamente creduto.  La prima cosa di un cittadino, e quindi anche di un insegnante che lo forma, è la pulizia mentale.

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L’ODIO PER ISRAELE

1. Gli israeliani vogliono sterminare i palestinesi.

2. Israele è un paese teocratico, che discrimina e opprime alcuni suoi cittadini molto più di quanto succede fra i palestinesi.

3. Israele è come la Germania nazista.

Tutte e tre queste affermazioni sono palesemente false. Gli israeliani, non tutti, ma certo la destra che è adesso al governo, sta sottraendo territori al popolo palestinese, ma questo non vuol dire che li voglia sterminare. E’ una politica di potenza che purtroppo caratterizza da sempre il nazionalismo moderno. Israele è uno stato più laico dell’Italia. Nella nostra costituzione il cattolicesimo è riconosciuto come religione di stato. Non in Israele, dove gli atei e i non credenti sono almeno il 50%. Certamente i cittadini palestinesi 1.5 milioni vengono discriminati in Israele, meno comunque di quanto capita ai 4 milioni di stranieri che vivono in Italia, ad esempio. E immensamente meno di quanto capiterebbe a un israeliano che vivesse a Gaza o nella West bank. Per non parlare di come i palestinesi trattano le donne e i gay. Durante gli anni Trenta i leader palestinesi visitarono la Germania nazista plaudendo ai loro metodi antisemiti. Ma nessuno in Israele ha mai pensato di sterminare i palestinesi, anche se di certo in questa tragica guerra sono state commesse da Israele grandi atrocità. Questo tuttavia non ha nulla a che fare con la soluzione finale alla quale purtroppo non solo i tedeschi ma tanti europei hanno collaborato alacremente.

Mi chiedo allora perché tanto odio, perché queste affermazioni calunniose sono sulla bocca di molti, soprattutto della sedicente sinistra italiana. La disapprovazione della politica di Israele è un conto e la condivido completamente. Perché associare a questo la falsità e l’odio?

Una spiegazione potrebbe essere: Israele e più forte militarmente e tutti noi ci identifichiamo con il più debole, cioè i palestinesi. Non sarebbe comunque una buona ragione per distorcere la realtà. E poi mica i più deboli hanno sempre ragione. Nel ’44 Hitler era più debole degli alleati, ad esempio.

Oppure ancora oggi è vivo l’antisemitismo in Italia e in Europa, esattamente come nel ’43? La mentalità, come ci ha insegnato Braudel, cambia molto lentamente e Fossoli e la Risiera di S.Saba erano gestite anche da italiani.

 

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LE IDEE CHIARE SULL’ILVA!

Sintomatico il modo di reagire di molti italiani alla situazione ILVA. In quel contesto si scontrano, come spesso capita nelle cose umane, due esigenze fondamentali e incompatibili: da un lato la produzione di ricchezza e benessere, dall’altro la salute. Come sempre in questi casi, la prima cosa da fare sarebbe avere dubbi e sospendere il giudizio, mentre invece molti sono stati pronti a sparare a zero sulla scelta del Governo. Magari quella proposta non è la soluzione migliore, ma ci vorrebbe un po’ di pazienza e dei buoni argomenti per dimostrarlo.

Primo esempio: Travaglio attacca senza mezzi termini il Governo e difende la magistratura. Nelle sue argomentazioni, tutte basate sulle carte del processo che ha portato a chiudere l’ILVA, non prende minimamente in considerazione il testo del decreto. Né tanto meno l’ovvia ragione pubblica che lo motiva, cioè l’immenso danno economico per la zona e l’indotto.

Altro esempio. Nel sito Giornalettismo, luogo della sedicente sinistra, troviamo questo pezzo, in cui si legge che “Il risultato è stato agghiacciante: vivere intorno allo stabilimento dell’Ilva significa contrarre il tumore a tassi più elevati della media italiana. Negli ultimi 13 anni sono morte quasi 400 persone di tumore, sopratutto ai polmoni, che vivevano o lavoravano all’Ilva.” Esempio perfetto di quella che gli psicologi cognitivi chiamano la “fallacia della mancanza del termine di paragone”. In Italia ogni anno muoiono circa 100mila persone di tumore, la zona di Taranto è densamente popolata, per cui l’affermare che sono morte 400 persone negli ultimi 13 anni è un dato poco significativo. Subito dopo si legge: “la mortalità infantile è superiore tra il 30 ed il 50% alle altre zone della Puglia. ” Questo è uno splendido esempio della fallacia dello scambiare il relativo con l’assoluto. 30-50% sembra una cosa enorme. Però si consideri questo esempio: L’anno scorso nel Liceo Righi sono stati respinti alla maturità 5 studenti su 1000, quest’anno 8 su 1000. Si noti che il cambiamento dall’anno scorso a quest’anno è maggiore del 50%. Nessuna persona seria lo considererebbe però un aumento statisticamente significativo. Arriviamo subito dopo al culmine: “I bambini nascono già con il cancro, ereditato dalla madre”. Poche forme di cancro hanno origine virale e non certo quella causata dal benzopirene, tipica della zona ILVA, per cui non si capisce come le madri possano contagiare i propri figli in grembo di questa malattia. Qui accanto alla tragedia dell’ILVA, stiamo vivendo la tragedia della disinformazione e della faziosità. Questo certo non significa che l’ILVA non inquini, ma che chi avrebbe voluto informarci sull’argomento non ci è riuscito.

Incontro amici e leggo su FB di gente che con assoluta sicumera condanna il Decreto del Governo. Non so che cosa pensare, se non che siamo un popolo di ignoranti e presuntuosi.

 

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LE CAUSE DELLA VIOLENZA SULLE DONNE

Domani 25 novembre è la giornata contro la violenza sulle donne. Occorre anche indagare sulle cause di fenomeni tragici come questi. Purtroppo i dati a disposizione sono relativamente pochi. Un’interessante studio sottolinea come mediamente gli uomini autori di tali violenze hanno uno spiccato senso della propria mascolinità. Fra l’altro negli ultimi anni si è notato un significativo aumento della violenza delle donne sugli uomini. E questo fenomeno è stato ricondotto a donne che vivono la propria emancipazione identificandosi in senso mascolino.  L’ISTAT ha prodotto un accurato esame del fenomeno relativamente all’anno 2006. Alle pagine 19-22 si discute anche delle caratteristiche dell’autore di tali violenze. Riporto qui un brano: “Quando l’autore di violenza fisica o sessuale è un parente, ha più frequentemente un’età compresa tra i 45 e i 54 anni (circa il 28 per cento), è più probabile che abbia un livello di istruzione basso (quasi il 37 per cento di tale tipologia di autore ha licenza elementare o nessun titolo, meno del 6 per cento per cento è laureato), ma quasi il 20 per cento delle vittime di un parente non è stata in grado di dare tale informazione. Per lo più si tratta di uomini occupati (il 70,1 per cento), in minima parte di studenti o ritirati dal lavoro (entrambi con una percentuale intorno al 10 per cento). Quando il parente è occupato per lo più è operaio (oltre il 43 per cento degli occupati), in misura minore impiegato o lavoratore in proprio (entrambi con una percentuale oltre il 20 per cento).” I dati sono purtroppo insufficienti. Occorrerebbero indagini più serie e approfondite sul fenomeno. Ma già da queste poche righe emerge quello che ci si poteva aspettare: i sex offender non sono uomini ricchi e colti e giovani, ma uomini in declino, con un livello culturale basso e pochi soldi in tasca.

Per arginare un fenomeno come questo è senz’altro necessario che ci sia una legislazione adeguata che garantisca la sanzione penale di tali comportamenti. Ma come sempre, la pena non basta. Occorre anche comprendere le origini del fenomeno e intervenire in sede preventiva.

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IL PIU’ DEBOLE HA RAGIONE?

La storia di Davide e Golia ci tocca sempre nel profondo. Il debole e buono che abbatte il forte e cattivo.  Probabilmente perché tutti ci sentiamo in balia di qualcosa di enorme, che gli antichi chiamavano Fato e che sta sopra anche agli dei. Anche i più fortunati sentono di essere governati dal fato. Il fato non è sempre cattivo, ma spesso ci fa male. E’ forse per questo che ci identifichiamo nel piccolo Davide che con la sua fionda abbatte il gigante Golia che ha la spada. Ed è anche questa la ragione perché tutti noi tifiamo istintivamente per il più debole. Fin da bambino, mi ricordo che quando una squadra di calcio era favorita, io speravo che l’altra vincesse.  Attenzione però non sempre il più debole ha torto. Hegel e con lui Marx hanno sostenuto esattamente il contrario. O meglio, hanno detto che chi vince – debole o forte che sia – ha ragione. Secondo loro la Storia avrebbe un senso e quindi chi vince realizzerebbe il senso della Storia. Sappiamo bene che la storia non alcun senso particolare, se non quello che le attribuiamo noi. E non è detto che chi vinca abbia ragione. Nella Spagna del 1200, ad esempio, gli spagnoli batterono e scacciarono gli arabi nel famoso processo di Reconquista, ma erano questi ultimi i più civili. Dunque non pieghiamoci ai nostri istinti che ci portano a preferire i più deboli rispetto ai più forti e i vincenti rispetto ai perdenti. Esaminiamo caso per caso e cerchiamo di comprendere chi è portatore di valori più universali, come democrazia e libertà.

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